AMINA PEDRINOLLA ARTISTA-FANCIULLA. STRATI DI CARTA E DI MEMORIA PER UN RITORNO ALL’IO BAMBINO

Conosco Amina Pedrinolla in modo del tutto fortuito, grazie alla mostra collettiva Origini, segni, percorsi curata da Roberta Bonazza e svoltasi al Forte superiore di Nago (TN) dall’ 11 settembre al 3 ottobre. Una mostra molto essenziale, concentrata e nel complesso semplice ma, ammetto, dotata di una grande forza espressiva, in grado di attrarre persino una persona pigra e distratta come me.

Uno dei motivi che mi portano a visitare questa mostra è il Forte di Nago, un edificio austero, rigoroso e massiccio; ma al contempo uno dei luoghi più strategici e suggestivi dell’Alto Garda perché costruito su uno sperone di roccia a un altitudine di circa 200 metri, che permette una vista sbalorditiva sul lago.  

L’altro è la scelta eclettica delle opere esposte dei quattro artisti (di origine locale) che mi permette di guardare in una volta sola e tutte assieme forme espressive diverse, in sale gravi, severe (dal tono militare, appunto) ma che ben si addicono a un’esposizione artistica; anzi, è come se fossero capaci  di intensificare le facoltà contemplative.

La mia attenzione cade subito sull’allestimento, squisitamente chiaro, pulito, incoraggiante. Le prime opere che incontro sono gli oggetti di Maria Grazia Staffieri,  posti di fronte come in una sorta di dialettica a quelli di Nicola Manfrini. Le forme sinuose e ireniche della prima combattono scherzosamente con quelle più nervose e aguzze del secondo, inquietanti aculei e minacciosi spuntoni.

Sono rapito poi dalla sala più estrema per via delle sculture lignee di Maurizio Lutterotti, pure illusioni pareidolitiche per le quali, in luogo di informi pezzi di ulivo vedo San Giuseppe, Cristi crocifissi e, soprattutto, una incredibile Maria Maddalena straziata dal dolore, che mi riporta a Bologna, davanti al Compianto di Nicolò dell’Arca.

Tra tutte queste opere, in uno spazio poco più ampio, respirano e si mostrano in pacata libertà i quadri di Amina Pedrinolla. Appoggiati a terra piuttosto che stesi su tavolini o appesi al muro, queste opere esprimono due stati d’animo opposti allo stesso tempo. Da una parte mi rasserenano e in un certo modo rassicurano, vedo gioia e armonia; dall’altra mi inquietano. Perché?

Mentre guardo più da vicino uno di quei quadretti mi si avvicina una signora che piano piano, quasi timidamente, prima si presenta e poi, incalzando, con una voce così soave e un linguaggio così fluido che non smetteresti di ascoltarla, si racconta. Lei è l’artista in questione, è lei Amina che leggo sul cartellino.

Mi parla dei suoi studi di architettura, del suo passato lavorativo nei circuiti museali, tutte cose ritrovo nei lavori che ho di fronte, e della recente professione di artista a tempo pieno. Col tempo, in particolare negli ultimi due anni, è riuscita a convalidare una particolare tecnica espressiva che unisce il collage al pennello, il ritaglio all’illustrazione, il disegno con squadra e riga alle sfumature indefinite del colore; il figurativo al materico.

Il progetto di Amina Pedrinolla per la libreria Piccoloblu di Rovereto (fonte: @libreria.piccoloblu)

Mi parla di “strati della memoria”, alludendo a quelle forme bidimensionali create grazie alla sovrapposizione di diversi ritagli di carta, ognuna delle quali possiede un ricordo, ossia rappresentano memorie di persone, date, luoghi, affetti. In altri termini sono pezzetti di vita passata fissati insieme per vivere continuamente nel presente.

È una ricerca continua a ritroso verso la fanciullezza, verso un Io-Bambino con il tempo dimenticato ma non demolito; verso colori e immagini di tanti anni fa, offuscati e ingrigiti, ma non dimenticati né perduti completamente.

Due sono i temi che l’artista propone in mostra. L’uno ha a che fare con l’intimità della casa, intesa come luogo abitativo (guardo i quadri di Pedrinolla e mi sembra di leggere Emanuele Coccia: “Una casa è un’intensità che cambia il nostro modo d’essere e quello di tutto ciò che fa parte del suo cerchio magico”, Filosofia della Casa, Einaudi, 2021), sia come pretesto, simbolo di convenzioni recepite solo dall’uomo adulto (la progettazione, lo schema, il blocco, il limite), concepite con la rigidità della riga perfetta; da far esplodere in colori e sfumature, creatività e immaginazione, illimitate per definizione.

Scatto dall’esposizione di Nago (fonte: @amina.memoriamateria)

L’altro soggetto, trattato con maggior attenzione e serietà, pur conservando una straordinaria tecnica artistica ludica e creativa, gioiosa e armonica (qui il contrasto, lo stesso effetto di spaesamento che provoca il David Lynch più inquietante, e penso a Rabbits, e a quell’atmosfera opprimente accompagnata da risate forzate da talk televisivi) è quella della donna indifesa, “violata” come mi dice l’artista stessa. Infatti i soggetti rappresentati sono ragazze (o bambine, o donne, non saprei, ma non credo cambi, quella rappresentata è la natura femminile) disegnate con tratto nervoso; e che non sono le modelle di Balthus né le ballerine di Degas, piuttosto la Marcella di Kirchner o che so, i ritratti di Tracey Emin o, in altra ottica, di Vanessa Beecroft.

Fotogramma da Rabbits di David Lynch

Ma questi corpi non hanno volto, sono rappresentati di schiena, oppure, se anche ci guardano, sono coperti da una maschera. Una maschera che l’artista mi dice di lupo, la cui ispirazione è dovuta a una vera e propria maschera simile a lei appartenuta; ma che mi ricordano con molto più disagio quelle dei personaggi di Lynch.

È solo un attimo, un piccolo istante di spaesamento; un gioco sottile che è tipico dell’arte, di tutte le arti, che solo l’artista compiuto riesce a evocare. Vedo poi una bella serie di puttini dipinti con tratto veloce e dalla sprezzatura notevole, e che mi riportano in un mondo più semplice, festoso, gaudioso.

DP

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