Giornata tranquilla e soleggiata nel verde della campagna gardesana. Il dolce tepore tipico del luogo, nonostante l’estate, rasserena e favorisce il dialogo. Damiano Perini e Marco Andreis, pascendosi con tabacco e vino Rosa Valtenesi – il vino edonistico per eccellenza – chiacchierano del più e del meno durante un normale aperitivo mattutino. Tra i tanti argomenti si tocca quello della poesia. Si riporta di seguito un estratto di quanto discusso.
Damiano. Sono cresciuto con Marco Andreis; lo conoscevo appassionato di fumo lento, amante dell’arte e artista. Scoprirlo anche poeta è stata una sorpresa. Marco, la tua prima pubblicazione di poesie è avvenuta molto recentemente (2020); come e quando nasce questa tua vena lirica?
Marco. Devo dire che, come per quanto riguarda la pittura, il fare poesia nasce in me in modo spontaneo: non sono stato io a cercare la poesia ma mi piace pensare che sia stata lei a trovarmi, soprattutto a trovarmi pronto per accoglierla. Credo che la poesia sia – almeno per quanto mi riguarda – più complessa in termini d’esecuzione della pittura e quindi mi serviva forse una maggiore consapevolezza di me stesso, una maggiore maturazione per mettere in atto la composizione poetica. Nel 2016 ho scritto la mia prima poesia.
D. Nelle tue due raccolte molte immagini si ricollegano alla natura: si parla di fiori, campagna, fronde e alberi, nubi, con uno sguardo accorto verso la maestosità celeste e in particolare del sole. Piace la natura in quanto se stessa, oppure è un modo di manifestare meraviglie nei confronti del Creato? C’è un rimando allegorico oppure è la Bellezza in sé a colpirti?
M. Il rimando allegorico è molto presente nelle mie poesie ma non in tutti i componimenti; mi capita spesso di cogliere aspetti della natura che mi deviano il pensiero su concetti più universali, domande alle quali non è possibile dare una risposta in modo razionale. Di fronte a questi pensieri non mi resta che estrarre penna e taccuino e ricamare una composizione. Credo che sia logico pensare che Bellezza e Creazione vadano di pari passo.
D. Nonostante molte poesie trasmettano luce, lo stato d’animo nell’insieme operistico è piuttosto malinconico. Corrisponde effettivamente al carattere del poeta? L’amore per le stagioni fredde, autunno e inverno, rappresentano il bisogno di intimità e solitudine in un mondo frenetico e confuso?
M. Le mie poesie tendono a trasmettere ciò che sono e ciò che provo nel momento in cui vengono scritte. Per fortuna – o almeno io la ritengo tale – il mio carattere è in continuo mutamento e è proprio per questo che tendo a cercare momenti di solitudine e di riflessione, attimi nei quali trovo il poetare più fluido e armonioso. La solitudine è da sempre stata compagna fedele dei pensatori, dei filosofi e dei poeti, quindi ritengo necessario che ci si debba regalare alcuni attimi di isolamento dal mondo – diventato decisamente troppo caotico.
D. Come nascono le tue poesie? Dalla tranquillità solitaria o dal turbinio quotidiano cittadino? Noto che termini come “lentezza”, “attesa”, oppure “pensare”, “meditare”, etc. si collegano tra una composizione e l’altra.
M. La meditazione e la riflessione, anche sulle situazioni più scontate, sono necessarie per riuscire a creare qualcosa che abbia in sé un significato profondo. Riuscire a isolarsi e innalzarsi al di sopra della realtà è fondamentale per creare una sorta di pensiero filosofico e quindi riuscire a vedere al di là della pura e semplice materialità delle cose – mi viene in mente Fontana con i suoi squarci nelle tele.
D. Alla base delle tue composizioni c’è la religione. Quanto conta per te Dio nella tua arte?
M. Per quanto mi riguarda credo che la Bellezza non possa esistere se non ci fosse stato un Creatore a donarla al mondo. Dio è presente nella mia vita e forse, a mio modo, penso che fare arte sia una sorta di ringraziamento per rendere onore alla magnificenza delle sue creazioni. Molti artisti – contemporanei e non – ritengono che l’essere legati a una religione possa essere d’intralcio alla libertà del loro pensiero: io personalmente credo che Dio non sia una restrizione di vedute, anzi, credo che sia un punto all’infinito raggiungibile solo mediante la Bellezza.
D. Un tema che affronti in modo magistrale e in modo cristiano è la morte; perché? Sembra quasi tu voglia cercare di convincere il tuo pubblico a accettare questa inevitabile meta. Un pubblico che ogni giorno combatte invece con la chimera dell’immortalità.
M. In effetti la morte è un argomento che mi affascina particolarmente e che mi fa capire che ciò che siamo è una condizione precaria e fragile. La società di oggi non fa più caso alla morte e vive alla giornata, schiava di una frenesia malsana che toglie il tempo per riflettere sulla propria vita. Essendo cattolico, la morte, la vedo più come un punto di ripartenza, una rampa di lancio per l’anima e non come il superficiale degrado del corpo.
D. Nel tuo ultimo libro, edito da Eretica, conto 19 volto la parola “anima” su un totale di 32 poesie. In un Occidente sempre più materialista è raro riscontrare persone, per lo più giovani, pascersi con questo termine ineffabile e carico di significati come pochi. Cosa rappresenta l’anima per te?
M. L’anima. Bella domanda! Credo che l’anima sia quella luce che in noi va alimentata affinché la nostra vita non diventi un lascivo sopravvivere. Un modo che ho di alimentare questa luce è lo scrivere poesia, il comporre attraverso le parole dei veri e propri quadri. Penso anch’io che le persone, in questa società, attente alla cura della propria anima siano rimaste ben poche ed è per questo che provo un forte senso di inappartenenza a questo mondo.
D. L’amore, e in particolare Vera, è uno dei temi più approfonditi dalla tua poesia. Cosa rappresenta lei nella tua vita di artista e poeta? Si può dire che tua moglie sia la tua musa?
M. Assolutamente sì, Vera si può considerare mia musa, come lo erano Laura per Petrarca e Beatrice per Dante, ma anche Drusilla Tanzi per Montale. Vera è per me sia una musa reale, in carne e ossa, sia una musa eterea, sublime, la Poesia stessa, infatti nei miei componimenti si intuisce che lei è la mia compagna di vita, la mano alla quale si stringe la mia, ma allo stesso tempo è anche la mia ancora di salvezza e il mio conforto. Se posso concludere con una citazione, leggo una quartina dell’Alfieri tratta da Rime varie e la dedico a mia moglie:
“O di gentil costume unico esempio,
d’ogni alto mio pensier cagione e donna,
del lasso viver mio sola colonna;
di celestial virtude in terra tempio:
[…]”