L’ebanisteria, intesa nelle sue forme più sublimi di intaglio e intarsio, è un’espressione squisitamente frutto dell’ingegno e dello spirito umano, un’attività duplice, come un Giano Bifronte, al contempo arte e artigianato. Questa sua doppia caratteristica però, questo suo essere, per così dire, borderline, è forse il motivo principale della sua scarsa, o comunque minore considerazione rispetto alle arti maestre (pittura, scultura: non a caso l’ebanisteria è sempre stata definita, appunto, una “arte minore”).
Si può dire sia un’espressione artistica che necessità di grande abilità tecnica, concentrazione, esperienza; ma viceversa è anche una manifattura che abbisogna di creatività, immaginazione, conoscenza e animo artistico. Insomma, un ebanista per forza di cose è sia artigiano che artista.
Deve essere per questa difficoltà a classificare l’ebanisteria che nei manuali di storia dell’arte difficilmente si ha traccia, non di una storia, ma solo un breve accenno ai grandi intagliatori che si sono susseguiti. È materia purtroppo ancora troppo sottaciuta e confinata tra gli specialisti o antiquari.
particolare degli intagli dei cassetti. Le maniglie (pomoli) sono intagliati nel legno a forma di frtutto particolare di puttino a formare la lesena
Da questo oblio non si esime neppure Giacomo Lucchini, straordinario intagliatore trentino, originario di Castel Condino, vissuto agli inizi del Diciottesimo secolo, di cui si trova traccia in qualche sporadico scritto e per di più difficile da reperire. Siamo soliti, ormai un’abitudine, considerare il fine intagliatore Giacomo Lucchini in riferimento a Tremosine sul Garda; e è giusto così: alla Pieve dello stesso comune, infatti, instaurò bottega per la durata di circa trent’anni, lavorando un numero elevato di pregevoli oggetti. Le sue poche notizie sono ricavate da queste opere, e sono documentate dal 1700 al 1729.
Bisogna trovarsi dinnanzi, o meglio direi immersi in questa serie d’intagli della parrocchiale di san Giovanni Battista di Tremosine s/G, per comprenderne la magnificenza, la sontuosità, l’eleganza, la raffinatezza. Per la chiesa di Pieve Giacomo Lucchini realizzò dapprima intagli per l’organo e la cantoria in legno di larice, e successivamente, in noce, i confessionali, gli stalli del coro, la cattedra, il bancone armadio della sacrestia, dossali e cornici. Altro che “arte minore”: con Lucchini il legno si anima, prende vita sottoforma vegetale: racemi, foglie e verzura paiono mossi dal vento, oppure da un qualche moto sovrannaturale, soffio divino. I Putti del coro parlano, si esprimono con tutta la loro corporeità: linguaggio non verbale, chiaro, deciso coinvolgente.
Di lui ne parla Elisa Cassoni (2008), evidenziandone per questi lavori “l’uso di un vibrante intreccio di nastri e di elementi naturali”, e sottolineando come lo stile di Lucchini sia basato sul movimento. Chi ha parlato però forse meglio di tutti e in modo più approfondito di questo intagliatore barocco (ma ricondotto al “barocchetto”) è Valerio Terraroli. Scrive il professore a proposito delle raffigurazioni intagliate: “un mondo semplice e quotidiano dove allegoria e natura convivono armoniosamente”, in cui si fondono “ridondanza di intrecci”, un “infinito repertorio di temi naturalistici”, e una “briosità” d’insieme.
formella centrale parte superiore del mobile
Un “rutilante repertorio fitomorfo” e un “inesausto impulso decorativo” (Terraroli) del coro di Pieve che si trova anche nel mobile della sacrestia della parrocchiale di Limone sul Garda. Sicuramente opera dei primi anni Trenta – come conferma la data iscritta nel legno che riporta 1718 –, mentre teneva bottega a Tremosine. Il mobile è solenne: austero e icastico con quella cromia scurissima e severa tipica del noce e dalle dimensioni notevoli, 2,84 x 4,12 m, è un’opera in cui l’occhio si perde vagando per gli intarsi pregiatissimi e vari, mentre pare di essere “schiacciati” dalla sua maestosità.
Il mobile è in condizioni conservative ottime, anche per il recente restauro di Vincenzo Marini di Rovato. È diviso in due parti, basamento e alzato, per un totale di 18 cassetti divisi da 4 lesene. Repertorio strepitoso e variegato di frutta intagliata a tutto tondo, che funge da pomoli: grappoli di uva, melograni, mele, pere, fichi, prugne e cardi… frutti che sembrano veri, e se fossero colorati sicuramente invoglierebbero pure a mangiarli. Degni di particolare nota sono anche i 4 putti-lesena del basamento: come a Pieve essi paiono organismi carichi di vita propria, esuberanti nel loro gesticolare, nella loro espressione. E ovunque fiori, rami, vegetazione… un Eden esclusivo: sinuoso, levigato, spumeggiante, intarsiato.
(bibl. minima): G. Vezzoli, La scultura dei secoli XVII e XVIII, 1964; M. Trebeschi, D. Fava, Limone sul Garda, 1990; V. Terraroli, La scultura del Settecento nella Lombardia orientale, 1991; E. Cassoni, Altari, dipinti e sculture, 2008.
Damiano Perini