“VINI DELLE ABBAZIE”. A proposito del nuovo progetto di Proposta Vini presentato a Parma

Proposta Vini è una azienda specializzata nella selezione e commercializzazione di vini e distillati. E direi –  conoscendola ormai piuttosto bene – soprattutto nella selezione: scrupolosa, attenta, appassionata. Perché questa deriva da una ricerca (capillare) rivolta a produttori che operano nel rispetto del loro territorio e delle loro tradizioni. Promuove e valorizza, insomma, la biodiversità italiana. Questo, in pratica, si traduce proponendo alla vendita produttori che da sempre credono in vitigni dimenticati, tipologie di vino non convenzionali, luoghi ignoti.

E significa quindi tenere a catalogo mostri sacri quali Walter Massa, Marisa Cuomo, Alberto Paltrinieri, Massimo Travaglini, Damijan Podversic (ne parlo qui); ma insieme promuovere e vendere capolavori più sottaciuti come lo Sciacchetrà dei Forlini Cappellini, il Buttafuoco di Andrea Picchioni (ne parlo qui), il Vino Santo di Francesco Poli (e la sua miracolosa acquavite di genziana), la Rossara di Roberto Zeni (ne parlo qui), il Colfondo dell’Antica Quercia, i Fortana di Mirco Mariotti, il Grillo di Hibiscus, i Salina Bianco di Salvatore D’Amico. E per motivi di spazio mi tocca pure essere riduttivo.

Proposta Vini è però anche l’azienda che pubblica uno dei più bei cataloghi di vino che conosca (e non sono pochi); dalla grafica alle illustrazioni, dall’impaginazione all’organizzazione delle sezioni: tutto appare chiaro, accattivante e maledettamente buono (come non assaggiare?).

La presentazione del catalogo 2022 di Proposta Vini si è svolta per la prima volta in uno spazio fiera, a Parma

Ma è l’azienda, Proposta Vini, dei progetti forse più ambiziosi, nati “per dare spazio e visibilità a quei vini che, pur essendo presenti da secoli o da millenni nel nostro paese, lontani da ogni logica di omologazione, non sono ancora riconosciuti dal mercato.”

Cito tra i più importanti: “Vini estremi”, quelli che nascono da altitudini, pendenze, clima del tutto impervi e in cui il lavoro manuale dell’uomo è ardua fatica; “Vini dell’Angelo”, progetto storico di Proposta che ha permesso di recuperare le varietà presenti in Trentino fino alla Grande Guerra; “Vini dalle Isole Minori”, molto curioso e suggestivo, il quale progetto racchiude tutti i produttori delle microisole del Mediterraneo (come l’Isola del Giglio, Vulcano, Salina, Ustica). Non meno interessanti sono i progetti legati ai “Vini franchi” , cioè viti non innestate su vite americana (non toccate nell’Ottocento dalla fillossera quindi), e “Vini vulcanici”, per la peculiare composizione geologica del terreno dove maturano le uve.

E da pochi giorni, grazie a Christian Bauer vengo a conoscenza anche del nuovo, coraggioso e mistico (ciò mi esalta molto) progetto di Proposta Vini: “Vini delle Abbazie”, nato da un’idea del viennese Josef Schuster.

Christian Bauer mi presenta l’ampia gamma dei Vini delle Abbazie

L’occasione è la presentazione del catalogo 2022, per la prima volta in uno spazio fiera, a Parma. Qui, in uno stand (purtroppo molto claustrofobico) Christian mi accompagna in una degustazione che tocca in modo tangibile storia, cultura e religione (cristiana, si capisce) di 8 luoghi di preghiera europei. I vini raggruppati convenzionalmente in questo gruppo sono tutti prodotti da figure religiose all’interno di antichi monasteri nei quali, da secoli, si coltiva la vite. Come è capitato per le antiche fonti greche e romane (poi riscoperte dagli umanisti rinascimentali), anche la vite ci è stata tramandata attraverso il Medioevo grazie a benedetti (è proprio il caso di dirlo)monaci: benedettini, cluniacensi, cistercensi, camaldolesi, trappisti, etc.

“Se il vino non è scomparso dalle nostre tavole il merito va a quei laboriosi monaci che, anche per ragioni di rito – il vino assieme al pane è l’eucaristia – , dopo la caduta dell’Impero Romano, hanno continuato a coltivare la vite.”

Ebbene, molte abbazie sono ancora attive (si veda l’esemplare abbazia di Novacella) e praticano la viticultura producendo vino, conservando inoltre varietà d’uva storiche che altrimenti sarebbero state perse.

Queste di seguito sono le cantine-abbazie che ho preferito.

Stift Admont, Jarenina (Slovenia). Fondata dai Benedettini in Stiria, Austria, nel 1071. Nel 1130 divenne proprietaria del Maso Jarenina, che si trova a 5 chilometri dal confine con l’Austria. Attualmente i monaci lavorano 72 ettari di vigne in diverse zone della Slovenia. Hanno riscoperto il vitigno Furmint, che in sloveno si chiama Sipon. Due le etichette: il rosso fermo è un cru, Ilovci, e affina 16 mesi in botti grandi, mentre il metodo classico affina tre anni sui lieviti.

Clos de Abbayes, Losanna

Domaine Clos des Abbayes – Losanna (Svizzera). Fondato dai monaci cistercensi nel XII secolo; questi crearono i terrazzamenti per coltivare la vite ancora in uso. La vigna Clos des Abbayes è di appena 4 ettari e l’unica varietà coltivata è il Chasselas, che matura molto bene grazie alla luce del sole riflessa nel lago, e dona vino bianco di acidità spiccata e eleganza distinta.

Stift Altenburg, Limberg – Weinviertel (Austria). Fondata dai benedettini nel 1144. I vigneti di Limberg si trovano nella zona più fredda della DOC Weinviertel (zona di Gruner Veltliner straordinari) ricca di boschi. Le viti crescono su una roccia silicea sedimentaria di origine organica: sono i residui fossili di microscopiche alghe marine; questi depositi arrivano fino a 23 metri di profondità. Il suolo è eccezionale e infatti i vini che bevo, un Gruner Veltliner e uno Zweigelt sono molto fini.

Kloster Eberbach, Eltville – Rheingau (Germania). Fondato da Bernardo di Chiaravalle nel 1136, è un pozzo di storia, oltre che di vino. Mi dice il mio accompagnatore che nel Medioevo il monastero divenne il produttore di vino più importante della Germania arrivando a 252 ettari vitati (oggi ne possiede 210!). Il vino veniva esportato soprattutto verso l’Europa del Nord attraverso il Reno. Della cantina bevo uno strepitoso e vibrante Riesling, e un Pinot nero carnoso e cupo.

Monasterio de Yuso, Rioja

Monasterio de Yuso, San Millán – Rioja (Spagna). Il monastero è patrimonio dell’umanità UNESCO, conserva le reliquie di San Millan, e in questa zona è stato trovato il primo testo in aragonese occidentale (ossia il primo documento  in lingua spagnola datato 900 d.C.). Due le etichette a base di Tempranillo e Garnacha. Un Rioja Crianza molto caldo, quasi allappante, strutturato e molto intenso; e un Rioja Reserva ancora più opulente, ma nel complesso un bel vino da chiacchiera.

Monastero Panteleimon, Monte Athos (Grecia). Culla dell’ascetismo contemporaneo, e dell’iconografia (il primo manuale di iconografia proviene proprio da qua, creato per guidare i monaci nella scrittura delle sacre icone). Vengono coltivati 70 ettari con una esposizione sud-est. Mi dice il mio istruttore che qui viene ancora coltivata la varietà Limnio, “apprezzata già da Aristotele” (lo riporto, anche se ne dubito molto). Il vino rosso prodotto, Agion Oros, infatti è un assemblaggio di questo raro vitigno con cabernet sauvignon.

“Un vino mistico. E piacevole”. Cit.

Bevo un vino estremamente particolare, che cela un qualcosa di indefinito; un vino molto amarognolo, una frutta molto selvatica, di mora poco meno che matura, un’astringenza accennata, un corpo non troppo pieno eppure gradevole, un’armonia indecifrabile: un vino mistico. E piacevole.

Damiano Perini

PENDENZE VERTIGINOSE, SUOLI SCISTOSI, VINI PROFONDI. BREVE VIAGGIO NELLA VALLE ISARCO VITIVINICOLA

Ogni volta che supero Bolzano, direzione Brennero, mi sento confortato, anzi esaltato da tutte quelle chiesette dal tetto aguzzo come una ago, da quelle case sparse attorniate da un’isola verdeggiante e inclinata, da quegli edifici dal tetto spiovente, spioventissimo come le pendenze vertiginose di questa valle.

La Valle Isarco, infatti, o Eisacktal in tedesco, è un affascinantissimo territorio lungo circa 80 km e percorso dal fiume omonimo, fatto di rocce verticali, antri scoscesi; in cui la mano artificiale e sapiente dell’uomo la si vede dalla lavorazione estrema e estremamente abile dei vigneti: e conferma la superiorità dell’artificio umano (usato con criterio) sulla natura selvaggia. Così, almeno, per me, e per come la vedrebbe Baudelaire.

Sono nel territorio più a nord d’Italia in cui si produce vino, e non è poco. Ringrazio la mia curiosità, il mio interesse (e la mia sete), per avermi permesso di approfondire una tale regione vitivinicola.

Kuenhof.

Il primo appuntamento della giornata è previsto per la piccola azienda familiare Kuenhof, sita qualche chilometro prima di Bressanone. Mi ero preso del tempo qualora non fossi riuscito a trovare subito l’indirizzo, e si sa, passare per ritardatario è il primo dei miei problemi. La strada però per arrivare è facile, e raggiungibile velocemente dopo l’uscita dall’A22. In anticipo decido quindi di fare un giro e mi inerpico – letteralmente – tra i vigneti quasi a strapiombo nei paraggi, e arrivo a Velturno, sede del castello: paesino tipico alto-atesino, scritte in tedesco, facce spigolose e pallide, capelli biondi: che non sono più in Italia mi era chiaro da un pezzo.

L’arrivo in cantina, appuntamento ore 10.00, è confortante. La prima cosa che vedo sono i vigneti che allignano in terrazzamenti dal muro a secco; secondo un crocifisso enorme e ben fatto sulla facciata dell’edificio. Simon, figlio dei proprietari Peter e Brigitte, accogliendomi con un grande sorriso mi spiega che ci troviamo in una sede storica, sia per la Valle che per la produzione di vino. Il maso infatti storicamente era proprietà del vescovo di Bressanone, a cui apparteneva anche il grande crocifisso ereditato che vedo all’esterno.

Il tempo è uggioso e, nonostante il calendario mi dice di essere a metà aprile, il meteo annuncia neve. Non giriamo per vigneti, ma questi sono ben visibili dal cortile del maso; così Simon ci indica lì sopra, con una pendenza spropositata delle antiche vigne di gewürztraminer. Terreni scistosi soprattutto, oltre a quarzo, sono i principali protagonisti per la creazioni dei straordinari vini bianchi che assaggerò.

Simon, mentre ci accompagna per la cantina, ci spiega la storia e la filosofia di Kuenhof. “Prima di renderci produttori indipendenti conferivamo le uve all’Abbazia di Novacella, come tantissimi altri contadini della zona. Dalla fine degli anni Novanta però, prendendo consapevolezza della qualità delle nostre vigne abbiamo deciso di fare il grande passo”. Attualmente Kuenhof possiede circa 6,5 ettari di vigneti, altitudine media tra i 550 e i 680 m s.l.m.,  con una produzione in annate buone sulle 40.000 bottiglie.

Produzione essenziale, che riscontro nell’architettura dell’edificio: minimal direi, i cui materiali sono solamente legno, cemento, pietra, e ancora legno; legno ovunque. Un’essenzialità nelle varietà prodotte, solo quattro, e nella grafica, a mio parere bellissima, delle etichette. Bianchi estremamente verticali e minerali che passano parzialmente (in base all’annata) in legno d’acacia, “più delicato, non mi dà aromi eccessivi, e fa comunque evolvere il vino in maniera elegante”, mi riferisce Simon, che dal 2007, tra i primi produttori in tutta Italia, ha scelto il tappo a vite: e non uno qualunque, s’intende, ma il massimo della tipologia, ossia lo STELVIN® LUX; molto più efficiente, e decisamente più elegante.

I vini che degusto nella nuovissima sala degustazioni di alto design sono di notevole qualità, anche se ammetto le nuove annate pe me ancora troppo giovani (ma comunque ne intuisco il potenziale). Il Riesling Kaiton, ossia letteralmente “bosco” in lingua celtica, deve il suo nome alla zona di produzione, versante opposto, esposizione sud-ovest. Il Sylvaner è quello in cui sento più il varietale, un vino molto lungo e autoctono del territorio. Notevole anche il Gruner Veltliner, un bianco tipico dell’Austria ma che per le caratteristiche della Valle Isarco è in grado di produrre ottimi vini anche qua. Ultimo vino che assaggio, con sorpresa, è il Gewürztraminer: diversissimo dai suoi simili prodotti in zona Termeno, molto più lineare, speziato, fresco; meno opulento e decisamente più bevibile.

Abbazia di Novacella.

Complesso strepitoso e immenso, a nord di Bressanone, ancora attivo e fortemente vissuto. Si tratta di una abbazia agostiniana, formata da edifici religiosi e civili. La storia di questo istituto è ricca e complessa, a partire dall’anno di fondazione, il 1142, grazie al beato vescovo della diocesi di Bressanone, Hartmann. Già da allora si cominciò a produrre vino, e proprio per questo l’Abbazia è considerata tra le cantine più antiche d’Europa; esattamente la seconda, essendo la toscana Ricasoli fondata un anno prima.

Ci si perde quasi, senza cartina o indicazioni. Infatti, rapito dalla curiosità mi sono lasciato andare allo smarrimento, e ho fatto bene. Molta cultura, tanta storia, tantissima arte. C’è un cimitero curatissimo, una basilica sontuosa dove tutt’oggi si celebra la messa, il Castello dell’Angelo è un’imponente e severa cappella dedicata a San Michele; e poi un giardino storico, un museo e, a coronamento di tutti gli edifici, pendenze vitate.

Mi accoglie Elias, persona ospitale e simpatica, che dà da subito l’impressione di saperne piuttosto bene riguardo il suo lavoro. Purtroppo non c’è tempo per visite nel luogo (ci vorrebbero due giorni), ma il pomeriggio non è vano, soprattutto se lo si passa in una enorme sala degustazioni fatta di enormi vetrate, soprattutto se la temperatura esterna rasenta i 2°C, e sta cominciando a piovere misto neve.

L’Abbazia di Novacella non è una cantina sociale, bensì un vero e proprio privato che possiede sia vigneti di proprietà ma che compra molto anche da conferitori. Per questo le zone di provenienza sono varie e coprono un areale esteso: da Cornaiano e Appiano a esempio, più a sud, provengono uve di schiava, pinot nero, moscato rosa; oppure da Bolzano, zona caldissima, il lagrein. Mentre i bianchi, ovviamente, da zone della Valle.

La degustazione è gargantuesca, immensa come il complesso abbaziale in cui mi trovo; e però molto gradita e molto utile. E molto piacevole: tutti i vini dell’Abbazia di Novacella hanno una notevole eccellenza; soprattutto i bianchi, ma anche i rossi. Riportare tutte le mie impressioni su tutti i vini risulterebbe noioso a chi legge, e stancante per chi scrive. Sui circa 25 vini degustati mi limiterò a qualche segnalazione.

Tra la “linea base” notevole è il Kerner, che preferisco di gran lunga alla sua versione riserva; freschezza acidula lunghissima, succo esotico al palato e finezza entusiasmante, in virtù della grande mineralità. Tra la linea riserva Preapositus (nome dedicato agli abati, cioè “preposti”) il Riesling è un capolavoro assoluto. È una  degustazione e devo star calmo, essere serio e non fare figuracce; quindi mi trattengo. Avvolgente, limonoso il dovuto, lievemente erbaceo, sentori di idrocarburo accennati e verticalissimo. Sorprendente, vitale, elegante. Il Moscato Rosa, che andrebbe comprato e bevuto solamente per la rarità di questa uva e ancora più rara la produzione. Acidità sostenuta, tannino fievole, floreale; è nettare pregiato, degno finale di questa spettacolare degustazione.

Villscheider.

Come Kuenhof, anche Villscheider era un conferitore dell’Abbazia, ma che valutando la qualità delle sue uve ha deciso di produrre da sé i propri vini. E ha fatto la scelta giusta. Per arrivare al maso di Villscheider la strada è più complicata ma allo stesso tempo più intrigante, suggestiva, misteriosa. Si sale da fondo valle per una strada tortuosa e non proprio ottimale, ripida e serpeggiante; a un certo punto (che ancora non mi è chiaro) si sbuca in una zona aprica, meno ripida e tutta verde, coltivata.

Mi sta aspettando Florian, il proprietario dell’azienda insieme al figlio. Mi sorride con un sorriso che la dice lunga sul mio ritardo (sta volta sì,  tantillus puer et tantus peccator, beccato in flagrante), ma cerco di far finta di nulla e chiedo subito di visitare i vigneti: sono sui vigneti più belli forse della Valle Isarco, nel pieno della viticoltura eroica e lì dove nascono di “vini estremi” altoatesini, appellativo di Proposta Vini, e voglio poter dire di esserci stato.

Nel vigneto poco vicino al maso di colpo cessa il persistente vento da nord (il versante è il sud): non mi stupisco: sono in equilibrio come un funambolo su una parete che stento a crede essere coltivata; fortuna soffro di vertigini, così che mi emoziono ancora di più. Florian mi spiega, intanto che camminiamo tra i filari, la storia dell’azienda.

Ufficialmente nasce nel 2007; 4 ettari vitati in totale, ma in ampliamento continuo, e circa 30.000 le bottiglie. Altitudine delle vigne massima è di 750 m s.l.m., sorprendente. Conoscevo i vini di Villscheider per il loro equilibrio esemplare, bilanciamento quasi perfetto tra acidità e morbidezza (ovvero 7 g/l acidità totale e 7g/l zuccheri riducenti), e nella degustazione che Florian ci ha riservato per le nuove annate ritrovo questa sensazione piacevole, occhi naso e bocca.

Le etichette sono minimal e abbastanza austere: nero con una linea oro che sta a indicare la chiesetta poco distante di San Cirillo. Tutti i vini evolvono solamente in acciaio, tutti tappati a vite (STELVIN® LUX, ovvio), mentre il Riesling tappo a sughero, ma un sughero ottimale, di qualità. “Perché così ha un’evoluzione particolare, che a noi piace molto”, mi spiega Florian, notando il mio dubbio. Sono sincero: sono in questa cantina per il Riesling, che amo  molto; ma a sorprendermi è, anche qui, il Kerner. Incrocio artificiale tra riesling e schiava, il kerner è una uva particolare, che alligna bene e solamente in Valle Isarco per questioni climatiche. È molto minerale ma insieme sprigiona note molto rotonde di frutta esotica, come ananas e papaia. Per confermarmi la grande qualità del vino Florian mi fa assaggiare anche una versione del 2014; convincendomi completamente.

Villscheider produce altri due vini, il Sylvaner, territoriale, e lo Zweigelt, letteralemte “due soldi”, un rosso leggero e piacevole di origine austriaca, anche questo prodotto solo in regioni montane. Un vino di poco corpo, ma gradevole, tutt’altro che imponente e grosso; si fa largo delicatamente tra i bianchi (quelli sì, di carattere), e mi ricorda che la vita è più bella se leggera e semplice.

Damiano Perini