Ci sono mostre in cui l’ambiente circostante, all’interno delle sale espositive dedicate, è già preludio alla mostra stessa. Così è per Frammenti, la retrospettiva dedicata a Tullio Pericoli, curata da Michele Bonuomo in collaborazione con l’artista medesimo, presso Palazzo Reale di Milano (dal 13 ottobre 2021 al 9 gennaio 2022).
C’è molta confusione nelle sale attigue – strabordanti di figure molteplici e bizzarre in estasi per la solita, dozzinale mostra di Monet. La personale di Tullio Pericoli invece, che ha sede in raffinate e deliziose stanze tappezzate di colori suggestivi, ospita visitatori rarefatti, e quei pochi che incontro sono persone distinte e a giudicare così a occhio sono tutti competenti, o comunque lodevolmente appassionati.

Del resto, un abile quanto criptico artista quale Pericoli – illustratore, ritrattista, paesaggista, informale, scrittore, e non so quale altra etichetta potergli riconoscere – non credo attragga la qualunque, anche se è apprezzatissimo dalla critica, e bene conosciuto tra quelli che la cultura un po’ la masticano.
È marchigiano di nascita, e dagli anni Sessanta vive e lavora a Milano. L’origine però della sua terra non l’ha mai dimenticata, e questo è lampante dalle opere esposte in mostra. Infatti, dichiara Tullio Pericoli: “li dipingo [i paesaggi] anche per ricordare che non ci si può e non ci si deve liberare della memoria, per seguire una storia che strato sotto strato si snoda per tempi infiniti.”

Pur non riducendosi a mero paesaggista, tuttavia, ha saputo affrontare i lati della natura umana attraverso figure di spicco della cultura italiana e internazionale. “Nella sua lunga pratica di pittura”, scrive il curatore Bonuomo, “si è immedesimato nel paesaggio naturale o in quello di un volto umano, suoi alter ego, muovendosi con disinvolta sprezzatura tra minuscolo e immenso nel tracciare e annotare ‘vedute’ autobiografiche.”
La mostra.
Mi immergo passeggiando per le vie di campagna e i tratturi perfettamente riconoscibili di queste opere evocative, tutte dal fondo bianco eppure straordinariamente variopinte. Luoghi ancestrali e sempiterni, appartenenti alla mente oltre che alla storia, questi paesaggi sembrano dipinti con una particolarissima tecnica mnemonica.
Faccio fatica a contestualizzare Tullio Pericoli: qua un’eco di grafismo, là reminiscenze dell’astrattismo kandinskjano; ma la sua opera è percettibilmente figurativa, il paesaggio raffigurato pare sì che evapori da un momento all’altro, eppure è nitidissimo. Prevale il nero, stentano i colori; ma questi, quei pochi tratti utilizzati, sono vivi, accecanti.
Paesaggi sospesi nel tempo, immobili, dove nulla accade ma tutto succede. La prospettiva è tutta di Tullio Pericoli, e non credo abbia precedenti nella storia dell’arte: ci vedo un misto di Jacopo de’ Barbari (e quindi un’origine matematica), di Pieter Bruegel (e dunque un’origine mistica), di Giulio D’Anna, di “aeropittura” futurista (e quindi fantasiosa). Le diverse prospettive, ossia le vedute da più punti, si incrociano, delirano. Il panorama è lucidamente distorto: vedo l’orizzonte, e allo stesso tempo le coltivazioni in tralice.
Pericoli, almeno per come lo vedo, unisce il linguaggio infantile (che so, Paul Klee, Cy Twombly) a quello articolato e matematico dei progettisti e cartografi; fonde la fantasia alla geografia, il mondo onirico con quello reale. I luoghi tangibili diventano immaginifici (o viceversa?).

Guardo i paesaggi di Pericoli e respiro la nebbia diffusa su quei campi, percepisco di rado il vento che soffia, il contadino che, chissà quando, ora o forse mai, sta per sbucare dall’orizzonte. Il soggetto è il medesimo, ma il modo per arrivare a esso è diversissimo. Incredibile la differenza tra opera e opera, dai dettagli alla tecnica: una infinita variazione sul tema.
Faccio caso all’allestimento, meticoloso anche se semplicissimo. In qualche sala sono disposte delle seggiole, che per una volta sono pure comode, molto comode. Scorgo una chicca: i quadri con tinte rossastre sono nella sala tappezzata di rosso, quelli con tinte blu nella sala tappezzata in blu. Dettagli, ma non trascurabili.

In mostra prevalgono i paesaggi, o vedute; ma sono presenti anche dilettevoli e gustosi acquerelli. Datati anni Ottanta, sono sogni ambientati in luoghi incantati e rarefatti, tenui e pulviscolari. Dimostrando l’uso magistrale della tecnica, Pericoli rappresenta invenzioni giocose, meccanismi impossibili in atmosfere suffuse e oniriche. Chiude la mostra la sala dei ritratti, dove non posso non citare – salutando con ossequio – Roberto Calasso.
D.P.