L’ATTITUDINE CREATIVA DI MAX ERNST È UN ELOGIO DELLA VITA, OLTRE CHE DELL’ARTE. Sulla retrospettiva a Palazzo Reale

L’attitudine creativa di Max Ernst – versatile, pluriforme, esaltata e esaltante – è un elogio della vita, oltre che dell’arte nella sua accezione più felice e totale. E me ne accorgo solo ora, visitando la mostra a Palazzo Reale di Milano, curata da Martina Mazzotta e Jürgen Pech (dal 4 ottobre 2022 al 26 febbraio 2023).

Di Ernst (1891-1976) ne sapevo poco, e poco in genere se ne parla di questo super-eclettico e sperimentatore delle Avanguardie artistiche di inizio Novecento. A lui potrei accostare solo Carlo Carrà, forse pochissimi altri; di mostre a lui se ne sono dedicate poche, nei libri di storia dell’arte si dà uno spazio da comparsa, il nome chissà perché non ha un appeal clamoroso.  La mostra che visito però, al contempo filologica, esatta e divertentissima, me lo fa vedere sotto una luce nuova, che è la luce degli artisti illuminati, degli apripista, dei numeri uno, dunque dei classici contemporanei.

Merito innanzitutto dei curatori, certamente, in grado di mettere insieme una quantità immensa di opere che comprendono tutta la sua immensa varietà di temi e tecniche, in quella che è la prima retrospettiva in Italia su Max Ernst (il che mi fa pensare a quanto sia fortunato a visitarla).

Ernst è pittore, scultore, disegnatore, grafico, poeta, amante delle belle donne; con opere riconoscibilissime e personali si confronta con il Dadaismo, il Surrealismo, il Romanticismo (specie quello tedesco), la Patafisica. Trasforma il banale in poesia attraverso tecniche semplicissime (ma che in lui acquistano qualcosa di magico) come la sovrapittura, il collage, il frottage (da lui inventato), il grattage, la decalcomania, l’oscillazione (tecnica che anticipa il dripping di Pollock), l’illustrazione di racconti quando non veri e propri racconti illustrati.

È una persona colta, dotata di interessi numerosi, e ciò si evince dai temi trattati nelle sue opere, che vanno dalla poesia, alla letteratura alla filosofia, dall’alchimia alle scienze naturali, all’astrologia e astonomia; svariati e onnipresenti sono i richiami all’intero mondo della cultura e al mondo interiore.

E tutto è ancora più straordinario quando si scopre che è Ernst è autodidatta, ossia non frequenta nella sua vita nessuna scuola d’arte.

Secondo i curatori , questo “filosofo-pittore” inaugura “una nuova arte del vedere”, mediante una raffinata dialettica dove “il suo universo sfida di continuo la percezione tra stupore e meraviglia, combinando logica e armonia formale con enigmi impenetrabili, mentre arte e natura, bellezza e bizzarria coesistono magicamente”. Di lui, in una maniera molto dada dirà che “i suoi occhi bevono tutto quello che si presenta nel suo cono visivo”…  B-e-v-o-n-o! questo bellissimo verbo (che esprime voracità, necessità, sensualità, insomma: vita; insomma: tutto) messo in rapporto al vedere è qualcosa che mette i brividi.

E è una premessa imprescindibile alla visita di questa mostra.

Seguendo un ordine cronologico (filologia) si suddivide in nove stanze: ognuna di queste “diventa un palcoscenico della visione” (divertimento). Quindi nelle prime sale si ha a che fare con la formazione dell’artista, disegni algidi e meccanici che richiamano Picabia, collage portentosi, e la fondamentale adesione a un mondo metafisico, seguito alla scoperta di de Chirico sulla rivista Valori Plastici. Nella sala succissiva si nota come Ernst abbia abbracciato, o meglio “bevuto”, tornando al caro verbo, la lezione dei futuristi e in particolare dell’arte totale; nelle tele predisposte per la casa del suo amico Paul Éluard, mediante una pittura lieve e soffusa, si apre un mondo naturale, tanto fiabesco e giocoso da anticipare le illustrazione per l’infanzia dei nostri giorni.

Lo spazio seguente è dedicata all’eros. È una ambiente oscuro, dai temi profondi e cifrati, dai richiami lontani, archetipici. Anche la pittura si fa ombrosa, misteriosa, misterica. E prosegue su questa linea alchemica anche nelle sale successive, seppur i temi non sono più l’eros bensì la natura, o meglio la Natura, nel lato più nascosto, indicibile e infinito che possiede. Qui il frottage trova la miglior espressione e, anche grazie all’allestimento enciclopedico e dall’effetto stupefacente (una intera parete è pervasa di questi fogli), credo sia la parte migliore della mostra.

Dal frottage alla pareidolia. Ernst, sulla scorta di Leonardo da Vinci, intuisce una potenzialità nell’informe: dalla macchia può nascere qualcosa, e quel qualcosa può essere tutto e anzi lo è essendo le facoltà dell’osservatore infinite. Sono opere, quelle che si scorgono in queste sale, in cui lo sguardo interiore (tanto caro all’artista) giunge a esprimersi nelle strutture del visibile, o viceversa “il paesaggio esteriore rivela corrispondenze con la dimensione interiore nel senso proprio del romanticismo”, in una natura “selvaggia, primordiale, predatrice”.

Ma, come scrivono i curatori, “tutta l’opera di Ernst è un invito a vedere”.

E più si guardano, si scrutano queste opere, più si entra in contatto con loro, più si entra in quei singolari mondi più si ha voglia di scoprire, capire, sapere. Sono opere che coinvolgono, non solo per i temi, ma anche per la loro bellezza, originalità e sapienza.

Passando davanti ai capolavori (quelli sì, conosciutissimi)  come la Pietà o La Rivoluzione la notte, o L’Angelo del focolare, si arriva come a coronamento di questa lunga, ghiotta e complessa visione nella sala in cui il fascino dell’ignoto incontra l’abisso del segreto cosmico. Nell’ultima sala i curatori allestiscono una magico apparato dedicato al cosmo e alle scritture segrete. È un mistero: il cielo stellato assume forme di crittografia, di lettere disseminate in un modo apparentemente casuale ma che segue evidentemente una logica. Oppure no; sono quei codici che aprono alle costellazioni.

Il microcosmo è in relazione al macrocosmo, l’immagine alla scrittura, la terra all’universo: la conciliazione degli opposti è avvenuta, l’opera di Ernst si è fusa con il tutto; e noi con essa.

Damiano Perini