LATTANZIO CONTRO GAMBARA. Il manierismo del maestro bresciano tra sacro e profano

Nella botte piccola sta il vino buono, si dice, e così nelle mostre ridotte sta la vera ricerca e la migliore valorizzazione e riqualificazione dell’artista in questione. Soprattutto se queste sono curate da figure competenti e capaci. Dalle mostre dedicate a Monet o agli impressionisti in stile Da X… a Y…, a esempio, si cammina, anzi si deambula per un tempo indefinito per la distesa chilometrica di opere appoggiate senza un vero senso, e non se ne ricava nulla; men che meno dal catalogo che sì, sarà bellissimo e di ottima stampa, ma dal contenuto che spesso è una minestrina mescolata più o meno allungata del già detto. Meglio le mostre concise: poche opere mirate, un allestimento essenziale e stimolante, un catalogo per contenuti approfondito e esaustivo.

Così è la mostra dedicata a Lattanzio Gambara che ho la fortuna di vedere presso il Museo di Santa Giulia a Brescia, Il senso del nuovo. Lattanzio Gambara, pittore manierista, curata da Marco Tanzi (che firma anche il documentato saggio del catalogo), inaugurata il 20 di novembre del 2021 e aperta fino al 20 febbraio 2022.

L’acquisto da parte della Fondazione Brescia Musei di un’opera di Gambara apparsa di recente sul mercato antiquario – una pala originariamente posta sull’altare maggiore della chiesa di San Bartolomeo, e dunque in un certo senso il ritorno ‘a casa’ dell’opera stessa – è il pretesto per una rilettura, nonché una valorizzazione del maestro bresciano. Una rilettura che allo sguardo frettoloso potrebbe risultare facile, le opere esposte sono praticamente una piccola serie di affreschi più cinque opere da cavalletto, ma che in realtà cela risvolti storico-artistici e anche sociali ben più profondi e intrigati. Il metodo utilizzato è quello del confronto. Un confronto interno, Gambara contro Gambara : agli straordinari affreschi di tema profano sono accostate le meno note opere che trattano soggetti religiosi.

Gambara è un artista che obiettivamente conoscevo poco e che riscopro grazie a questa esposizione; lo relegavo a un minore come tanti, il cui ricordo era legato per lo più a una questione campanilista, essendo Gambara brescianissimo. Serviva rinfrescarsi la memoria, e gli occhi. Certo: non sarebbe stata la stessa cosa senza il catalogo e le osservazioni di Marco Tanzi, scritte con una prosa esatta ma colloquiale, puntuale ma coinvolgente; un’analisi filologica ma accessibile.

È merito suo (o meglio, come ammette, di sua figlia) l’attribuzione della pala del Compianto su Cristo morto con i SS. Bartolomeo e Paolo, “dalla tavolozza sfarzosa e controllatissima, mirabilmente delicata e non eccessivamente squillante”, ossia l’opera che ha dato l’abbrivio a questa mostra. Non è però una pittura accessibile quella di Gambara: quasi tutta la sua produzione artistica deve essere adeguatamente accompagnata, e intrecciata alle vicende e ai personaggi dell’epoca. Comprendere per godere.

Lattanzio Gambara, Compianto su Cristo Morto coi Santi Bartolomeo e Paolo. L’opera è stata da poco acquisita da Fondazione Brescia Musei

Lattanzio Gambara nasce a Brescia nel 1530 circa e sempre a Brescia muore nel 1574, a soli 44 anni dopo una vita artistica intensa, legata al Manierismo; un pittore stakanovista praticamente, un “torrenziale maestro, capace di affrescare con temi sacri e profani chilometri quadrati di superficie muraria, senza cedere mai il passo a stanchezza o a cadute di qualità”, come scrive Tanzi. Inoltre, lo scopro pure una persona dall’“indole caparbia”, che “si accompagnava a uno spirito vivace e scherzoso”, secondo quanto riporta Filippo Piazza in una scheda del catalogo.

Di lui già ai suoi contemporanei appariva grande maestro, e godeva di notevole fortuna: si pensi solo alla conoscenza di Vasari, il padre degli storiografi moderni; il quale lo va a trovare a Brescia, direttamente nel suo studio, definendolo “il miglior pittore che sia in Brescia”. Anche se il culmine del suo lavoro, la sua “impresa”, si trova nel duomo di Parma, e è rappresentato dalla serie affollattissima e elaborata degli affreschi della navata. E qui la sua fortuna, ma in un certo senso anche sfortuna: in un commento straziante Marco Tanzi fa notare l’ingiusta nebulosità della critica attorno a lui, offuscato a Brescia dai Romanino (il padre di sua moglie), Savoldo e Moretto, e a Parma dai Correggio e Parmigianino.

Così Tanzi: “Nessuno però, nel terzo quarto del Cinquecento, ha lavorato più del Gambara, sempre a livelli di eccellenza, sempre per committenti prestigiosi, in questi due centri.” Insomma, dice il curatore, a Brescia le opere osservabili sono pochissime, mentre a Parma, in cui l’opera gigantesca è davanti agli occhi di tutti, “invece, la straordinaria impresa del Duomo è apprezzata sì ma, come dire, entusiasma poco una città in cui risplende e si perpetua il mito dell’École de Parme, troppo fiera dei propri genii loci per poter amare anche i forestieri.”

Ben vengano, quindi, mostre come questa presso il Museo di Santa Giulia: sintetica e lampante e utile; in una parola, necessaria.

Damiano Perini