Mi capita di bere vino anche solo per curiosità: curiosità di scoprire nuovi sapori, territori, peculiarità, oppure solo per il capriccio di bere bottiglie da luoghi esotici, enologicamente desueti, cose quasi praticamente introvabili. Il vino che ho in mano e bevo questa sera arriva dalla zona pedemontana della Bekaa Valley, in Libano. Non ho mai pensato di andare in Libano, il mio carattere italianocentrico mi suggerisce più le Marche o l’Abruzzo, però Google Maps mi dà un grande aiuto: la cantina francesizzante si chiama Chateau St. Thomas, castello di San Tommaso, e appare come un netto spartiacque tra la zona est (verdeggiante, in cui si vedono solo campi coltivati) e la zona ovest, da cui si innalza il monte completamente brullo e desertico. I prodotti della cantina sono distribuiti in Italia da Proposta Vini, il quale scrive sul catalogo 2021 come presentazione parole vaghe, del tipo: “questa azienda produce vini che affondano le radici in una lunghissima tradizione enoica che risale ai tempi dei Fenici”.
Troppa storia e iperbolici antenati rischiano di farmi venire la nausea, quindi provvedo subito a smorzare la curiosità e la sete (questa più facile da assecondare) aprendo semplicemente la bottiglia. Les Emirs, questo il nome, è un rosso intenso, da uve cabernet, cinsaut (coltivato in Francia nella Valle del Rodano, mentre da noi conosciuto come ottavianello e coltivato soprattutto in Puglia), grenache (cannonau), carignan (vitigno dalle origini spagnole). Millesimo 2012, con evoluzione in barrique per 12 mesi più altro affinamento in bottiglia; e infatti è molto chiuso. Non resta che berlo piano piano, aspettando che si ossigeni: ma lentamente, in bottiglia, senza decanter, e allo stesso tempo valutandone le trasformazioni sensoriali.
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Lo sorseggerò per oltre tre ore, riservandomi un bicchiere per il giorno dopo. Questo il riassunto delle mie percezioni in ordine cronologico.
Ore 22:08. Colore rubino intenso, profondo. La prima esalazione, già solo girandolo nel bicchiere, indica una chiusura del vino, forse data dalla sosta protesa in bottiglia. Odori sgradevoli poco nitidi, rudi, cattivi; selvatici in senso sporco. Pronunciato è la nota alcolica, molto insistente e fastidiosa a lungo andare. Il tannino è molto astringente, invasivo. Insomma: un vino non equilibrato, scoordinato, i cui singoli elementi sembrano andare ognuno per la propria strada. Ne bevo poco, e aspetto.
Ore 22:42. Meglio. Emergono fievoli (ma non ancora posate) note erbacee, come di peperone; tenui sentori di cuoio sostituiscono quello che avevo chiamato “selvatico”. Una acidità più spiccata e controbatte il tannino. Nell’insieme un vino più sciolto, aprico, solare. Il profumo comincia a liberarsi dalle briglie del contenitore. Si scopre, sul finale, un piccola percezione di amarene sotto spirito. Anche se dura una nota legnosa e abbastanza verde.
Ore 23:14. Molto meglio. Il vino che inizialmente diceva poco o niente, pareva senza anima, adesso comincia a esprimersi chiaramente. Fiori rossi carnosi, appassiti, insieme a sentori di amarene sotto spirito prendono il sopravvento. La nota alcolica sgradevole si è trasformata in soffia etereo appena confuso al resto.
Ore 00.08 – 00.57. In questo arco temporale il vino da il meglio sé. Le conseguenze della lunga macerazione delle uve adesso si avvertono in maniera prominente, con note assuefacenti, ma educate, gentili; ora il vino esala la massima complessità. In bocca è ben bilanciato, forse le note sul finale sono ancora un po’ ruvide, amarognole per l’uso del legno troppo spinto.
Il giorno dopo, ore 12.21, il vino ha perso molto, quasi scarico, permane una spinta acida. Svanite le note di polpa rossa e matura. Lieve, molto lieve, un delicato ricordo di ciliegia e note tostate.
DP