I cimiteri sono luoghi e al tempo stesso non-luoghi, luoghi di passaggio (fisico e simbolico) quindi sacri, ma anche parte integrante del paesaggio e pertanto, nella maggior parte dei casi, belli. Belli e affascinanti, tenuti più o meno bene, vialetti curati, natura variegata (fiori, quando non finti, e piante, tanti cipressi), e i più fortunati dotati di vista panoramica. Ospitano le tombe dei nostri cari, di conoscenti, di persone famose. E al cimitero anche la persona più insulsa in vita è degna di una preghiera, un ricordo, un pensiero.
I cimiteri rinfrescano e innalzano la memoria dei defunti, e al contempo possono giovare al sopravvissuto. Sia esso un familiare, un conoscente, o uno sconosciuto. Il camposanto è un luogo di consolazione, non solo pianto ma anche sorriso, sorriso benevolo oppure di scherno (si pensi all’ Amici Miei, Atto II di Monicelli, dove il cimitero divento scenario per uno scherzo). È comunque sempre luogo di silenzio inverosimile, un silenzio quieto, saziante, tranquillo che tranquillizza; è un luogo meditativo, quasi metafisico.

Ugo Foscolo forse esagerava. “Non vive ei forse anche sottoterra, quando/ gli sarà muta l’armonia del giorno,/ se può destarla con soavi cure/ nella mente de’ suoi?” scriveva, in uno dei passaggi preferiti (Dei Sepolcri, 1807). Il sepolcro foscoliano è un fatto politico, civile, sociale, patriottico; insieme elemento materiale (il marmo, la foto, i fiori) e eterno (i simboli, la memoria, la sacralità). Per Foscolo le tombe sono come altari destinati a perpetuare, insieme alla memoria dei defunti, l’emulazione delle loro virtù; ossia “i sepolcri degli uomini illustri” fomentano (o dovrebbero farlo) in noi vivi le passioni civili e portano (idem) le persone a imitare l’eroe commemorato.
Un amante dei cimiteri, un grande amante intendo, è Camillo Langone. Non manca novembre in cui non lo ricorda nella sua rubrica La Preghiera, sul Foglio; sono molti gli spunti che si ricavano dalla sua sintesi estrema. “I cimiteri sono una grande, silenziosa sacca di resistenza alla cancellazione culturale” (02 novembre 2021) scrive Langone, definendo “iconoclastia assoluta” la cremazione, pratica opposta alla sepoltura. Non commemorare i morti significa dimenticarli, e dimenticare i morti è un po’ come cancellare il passato. Chi va al cimitero (non necessariamente il 2 novembre) prolunga, perpetua la cultura, la storia, la civiltà.
Mi ricorda, lo stesso Camillo Langone, che la morte senza un monumento (in senso etimologico: ricordo) è tristezza, immensa tristezza: “la morte del Ventunesimo secolo”, dice, è “la morte raddoppiata dalla cremazione, la morte senza corpo e senza ricordo materiale, la morte davanti alla quale non si può sostare, pensare, pregare. La morte di una civiltà che spreca la morte, che non impara nulla dalla morte, e che muore” (2 novembre 2022). Meditare sul defunto allieva la vita, solleva dalle fatiche quotidiane; e tante volte mette pure umore. I cimiteri, inoltre, al contrario di certe chiese o altri edifici di culto, “non attirano i turisti” (2 novembre 2017), e sono quindi i meglio adatti alla preghiera.
Consiglia poi, Langone, una visita al cimitero a ansiosi e depressi, “insomma i vivi” (16 novembre 2019). “A differenza degli psicofarmaci”, scrive, “i cimiteri sono gratuiti, non richiedono ricetta e non hanno effetti collaterali. Ricordando la brevità della vita, le tombe ricordano la brevità del dolore e dunque dell’inutilità del preoccuparsi”. Nei cimiteri “abbondano religione, arte, storia. Che lezioni i cimiteri.”
Cimiteri di provincia.
Appassionato di cimiteri lo sono anch’io; e più che assiduo frequentatore mi definirei un flâneur cimiteriale. Io pure, nei miei viaggi o viaggetti, tendo a sostare in cimiteri sconosciuti, piccoli o piccolissimi, di paesini o borghi di provincia. Li reputo i migliori : so bene che nei monumentali cittadini l’arte e l’architettura funeraria raggiungono l’apice; ma i dettagli, le bizzarrie, la delicata decadenza, la fascinosa imperfezione dei cimiteri provinciali nascondono delle bellezze ineguagliabili.

Innanzitutto è una profusione di nomi, che alla lettura dell’uomo contemporaneo suonano arcaici e bislacchi. Non può non sfuggire un sorriso leggendo nomi, per fare qualche esempio, come Zita, Luigia, Irma, Dina, Bruna, Gelsomina, Rosmunda, Oreste, Bice, Anita, Avellino, Ersilia, Clateo, Ermenegilda, Girolamo, Ermida, Bortolo, Vittore, Lodovico (con la “o”), Egidio, Dirce, Elvira Celestino, Cesira (da un cimitero del bresciano). Leggendo poi la menzione “Primo” mi torna in mente il memorabile prologo de La spartizione di Piero Chiara.
Il racconto esordisce con un excursus di nomi stravaganti della provincia, e delle origini di questi. Si legge la storia degli “Emerenziani e Emerenziane”, un caso “come quello di alcuni di Cuvio che si chiamavano Divo perché i parenti avevano letto sulla facciata della chiesa Divo Martino Martiri Patrono”. C’era poi chi “si chiamava Ferito per colpa di una canzone del tempo: Garibaldi fu ferito…”. Oppure il caso ancora più esaltante dove, “dopo la guerra 1915-1918 altri apparvero, nel Veneto, che si chiamavano Firmato perché in fondo ai bollettini di guerra di leggeva Firmato Cadorna”. E chissà quante curiose storie ci sono dietro quei nomi bizzarri apposti sulle lapidi più vecchie.
Tra i miei cimiteri preferiti spicca sicuramente quello di Bagolino, con tutto quella rapsodia disordinata di cappelle esterne, lungo la strada che corre veloce verso il Gavia e quindi il Passo Crocedomini; sicuramente devo menzionare il cimitero di Sermerio, piccola frazione di Tremosine sul Garda, un intimo e piccolissimo camposanto, dove le anime pare proprio che stiano in beatitudine perpetua. Qui a Sermerio inoltre è degna di nota una singolare tomba, unica posta al suolo al centro e contornata da tutte le lapidi a muro, la cui ricercatezza artistica (una statua bronzea dalla forma di una ninfa, in posa pudica eppure sensualissima) si discosta completamente dal pauperismo paesano dell’ambiente.
Un altro cimitero cui la visita è d’obbligo è quello di Cologna di Tenno. Questo è posto sulla strada che da Riva conduce a Tenno, e la posizione strategica permette di godere di una vista strepitosa sul Lago di Garda. Da circa due mesi nel mia classifica dei dieci migliori cimiteri provinciali del Nord Italia si è aggiunto quello di Cavedago, paesino della provincia di Trento, si può dire approssimativamente tra La Paganella e la Val di Non. Mi ha colpito per tante cose, in particolare: 1) l’ordine e il rigore generale, 2) la ieratica e maestosa croce al centro, 3) la vista sulla valle, in cui la natura montana si mischia benissimo all’artificio umano di case, casette e meleti, 4) la chiesetta qui posta e 5) il muretto a secco che perimetra il camposanto, creando a tutti gli effetti un hortus conclusus.
C’è un altro dettaglio poi che ha colpito la mia attenzione: sulla sinistra, affissa sulla parete della chiesetta, una umilissima, semplicissima lapida recita le seguenti parole: “PIETRO VIOLA ∙ OSTE ∙ ”. Ho ammirato particolarmente il fatto che il signore abbia voluto farsi ricordare insieme al suo mestiere, e ancor più mi sono esaltato perché il signore abbia voluto eternare quel mestiere. Onore, dunque, a Pietro; onore, sempre, all’oste!
Damiano Perini