IL ‘VOGLAR’ DI PETER DIPOLI. Fivi 2022 dedica una verticale al grande e peculiarissimo Sauvignon alto atesino

Perché il Voglar, Sauvignon Blanc di Peter Dipoli, è così particolare? Perché si distingue così tanto da tutti gli altri Sauvignon italiani? Con questo quesito Massimo Zanichelli introduce la masterclass dedicata a alcune annate del vino del grande vignaiolo alto atesino, durante l’undicesima edizione del mercato Fivi di Piacenza, domenica 27 novembre 2022.

Il Voglar, nome dell’appezzamento che deriva da ‘focolare’, è infatti un Sauvignon atipico, che si identifica in pieno con il produttore. Persona vulcanica e completamente immersa nel mondo vitivinicolo, Dipoli è produttore, agronomo e enologo, è commerciante di vini (proprietario di Fine Wines), è comunicatore (“il vino deve essere senza punteggio, nei libri di divulgazione enologica deve esserci informazione libera, con possibilità di libera interpretazione da parte del lettore-appassionato”, dice), è scrittore (suo e di Michela Carlotto il trattatello su Mazzon e il suo legame col pinot nero; e suo è anche il libro dedicato al sauvignon blanc e l’Alto Adige), è socio e co-fondatore Fivi, promotore delle Giornate del Riesling di Naturno e delle Giornate del Pinot Nero di Egna (i due vitigni che più ama, ma di cui non ha mai preso in considerazione la produzione); Zanichelli lo definisce un viaggiatore instancabile, e infatti il suo Sauvignon è il risultato di numerosi viaggi in giro per il mondo, e il suo particolarissimo carattere e carisma.

È un vino identitario, un Sauvignon inconfondibile, personale e personalizzato.

Questo vitigno a bacca bianca può dare vini estremamente eleganti o tremendamente banali, scrive Massimo Zanichelli (I quattro elementi del vino italiano. La montagna, Bietti, 2022), a seconda del terroir di provenienza, della maturazione delle uve e dello stile del produttore. Il sauvignon è l’unico vitigno coltivato da Dipoli nei suoi circa 3 ettari di proprietà a Penon Kolf, località nel comune di Cortaccia (nella Bassa Atesina), su un pendio ripido e solatio, tra i 500 e i 600 metri di altitudine esposto a sud-ovest.

 

Peter Dipoli odia le pirazine, ossia il composto organico aromatico in grado di sviluppare sentori vegetali soprattutto nel Sauvignon, “prediligendo quelli ‘tiolici’ (sensazioni di pompelmo, di frutto della passione, di uva spina)” (Zanichelli), insomma vuole trovare nel suo vino note di agrume e frutta piuttosto che verdi e erbacee. Ecco perché le uve sono coltivate a una così alta quota, per beneficiare di un tempo più lungo di maturazione. Ma il cambiamento climatico (tema che preme particolarmente a Dipoli) gioca sporco, “vorrei alzare di 100 metri la collina” dice scherzando il vignaiolo.

L’azienda nasce ufficialmente nel 1988. Il Voglar, unico vino prodotto, fermenta e affina in botti di acacia, no fermentazione malolattica, e esce in commercio a distanza di tre anni dalla vendemmia (con la 2021, grazie alla grande annata, uscirà la sua prima riserva).

In degustazione la batteria prevede cinque annate: 2019, 2018, 2015, 2013 e 2010. Dipoli è molto tecnico: si limita, durante la degustazione, a illustrare i parametri numerici delle vendemmie (acidità, pH, grado Babo); statistiche che minuziosamente appunta e conserva con piglio da archivista. Dopo la chiacchierata del produttore è effettivamente possibile collegare la sua personale visione al vino. Il carattere del vignaiolo è presente nei bicchieri. “Più cerchi la perfezione tecnica e più togli carattere al vino”, sentenzia Dipoli; “la tecnica oggi è al massimo grado, sempre più fondamentale sarà l’interpretazione di chi produce vino” chiosa Zanichelli.

Acidità, “architrave dei grandi bianchi”, e sapidità sono le caratteristiche che, fuse ai sentori caldi di frutta gialla (“come un’albicocca sapida”) si rincorrono in ogni vino di questa verticale. “Longilineo, scattante, avveniristico”, dice Zanichelli, che definisce la 2019 come “un anelito verso l’assoluto, il senso di Sauvignon trasfigurato, consustanziale, rivoluzionario. Il palato è succoso, modulato, di sottrazione estrema, tutto in levare, fitto di vibrazioni sapide, dal finale fresco e acuminato”. Per tutte e cinque le annate il colore parla chiaro: brillante, ricco, squillante, vivo che più non si può.

Il Voglar è un vino legato alla sua vendemmia; e per questo la 2018 spicca per una fragranza balsamica (“menta”) e d’agrume (“buccia di pompelmo”). La 2015 è stata una annata caldissima e il vino non elargisce certo sapidità, ma i profumi sono pronti, aperti, opulenti quasi. La 2013 all’inverso è caratterizzata da una forte e lunga acidità, motivo per il quale “comincia adesso a maturare” virando verso toni di pietra focaia. Sentore di pietra focaia che raggiunge la perfezione (“profumo nobile, perfetto”, si compiace Dipoli) intrecciato a un delicato richiamo al litchi nell’ultimo vino in degustazione, annata 2010. Vino dal lungo affinamento, ma dotato di una acidità così vibrante che non la si direbbe così lontana dalla 2019.

“Se ama così tanto il riesling”, si fa sentire una voce dal fondo della sala, “perché non si cimenta nella produzione?”. E la risposta, secca e pacata, è già pronta. “In Alto Adige si fanno grandi Riesling, ma a altitudini alte; nella Bassa Atesina, dove sono, le condizioni non sono ottimali per questo vitigno. Un vitigno che ha nobiltà certo, ma anche e delle esigenze specifiche. Coltivando il riesling nella Bassa Atesina – conclude Peter Dipoli con un sorriso sardonico, e quasi quasi amareggiato – si possono fare buoni vini; ma non si faranno mai grandi vini”.

DP

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