LA DIFFERENZA TRA CHI PER COLAZIONE SCEGLIE MARCHESI E CHI L’UBIQUA CATENA AMERICANA È ANTROPOLOGICA

Colazione da Marchesi

Mi stavo arrovellando sopra uno dei tanti libri di Ugo Fabietti, emerito accademico italiano, in particolare sulla sua introduzione all’antropologia culturale (Elementi di antropologia culturale, Mondadori Università, 2015), poi però ho capito che è sufficiente qualche colazione in locali svariati per comprendere al meglio usi e costumi, ossia le differenze principali tra le culture e società di oggi.

Si prenda, a esempio, una mattinata passata tra una delle sedi della famosa catena americana, onnisciente e omologante, e la Pasticceria Marchesi, in via Montenapoleone a Milano.

Dalla prima, e penso alla sede di Piazza Cardusio, non ho che un ricordo algido: fila lunghissima per andare alla cassa, ordinare, pagare, fare la fila di nuovo, richiedere il prodotto pagato, portarselo al posto perché è escluso il servizio al tavolo (un percorso automatizzato e macchinoso); un fastidioso rumore che è la somma del  mugugnare di molti e il vociferare di altri (quando non lo schiamazzo di alcuni); un ambiente reso alienante non solo dall’esorbitante numero di clienti ma anche e soprattutto dalla sala immensa e dispersiva, arredata con un design forzato e anonimo; dal cappuccino che è praticamente un secchiello di latte tiepido e caffè slavato (e del mangiare non parlo nemmeno).

Poi vado da Marchesi (pasticceriamarchesi.com), e è tutt’altra cosa: un ambiente intimo e assai accogliente, in cui mi rilasso e mi godo la colazione al meglio delle condizioni (stando seduto comodamente al mio posto). Sarà per le pareti tappezzate di verde veronese? Per la scansione ritmica e ordinata di vetrinette, su cui scorgo adagiati contenitori di piccola pasticceria in latta, stile vintage? Sarà per la qualità dei prodotti, per la crema pasticcera della veneziana, per il latte del cappuccino che è montato nel modo corretto (la tessitura è molto fine, il mio cappuccino è cremoso come deve essere)? O per l’eleganza e la cordialità di chi mi serve, per la loro divisa in livrea che fa pendant con le pareti?

Mentre medito sugli interrogativi, immerso in una verdissima e calda stanza, guardo ai miei compagni di colazione. Di fronte ho un gruppo di signorine, distinte e ben vestite, quasi certamente studentesse universitarie (una tra loro è accuratamente truccata e pettinata, bionda dai lineamenti est-europei, indossa un copricapo invernale e mi sembra Tamara de Lempicka). Oltre a un portamento composto, dimostrano capacità colloquiali, chiacchierano bene e gesticolano meglio.

Niente a che vedere con i frenetici, compulsivi e ansiogeni frequentatori filo-anglofoni di Piazza Cardusio, per lo più turisti mordi-e-fuggi, signorotti e signorotte esterofili maniaci dell’internazionalismo a tutti i costi, ragazzini dipendenti dalle geolocalizzazioni, camerieri frettolosi con le cuffiette…

È certamente, in entrambi i casi, un bellissimo e gustoso spettacolo, che è altresì una lezione antropologica, chiara e immediata… insomma, dimmi dove fai colazione e ti dirò chi sei.

Luciano Cardo

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