Mi verso il vino nel bicchiere, guardo con attenzione, e d’istinto recupero un vecchio libro che lessi anni fa: Colore. Una biografia, dal sottotitolo esplicito Tra arte, storia e chimica, la bellezza e i misteri del mondo del colore, scritto dal chimico inglese Philip Ball (BUR edizioni). A pagina 72 leggo le seguenti parole:
“Nel Medioevo la lacca rossa non era prodotta solo dalla secrezione gommosa (che divenne nota come lacca carminio) di una cocciniglia, ma anche da una resina similare chiamata lac, lak o lack, che incrosta i ramoscelli di alberi originari dell’India e del sud-est asiatico ed è essudata dall’insetto Laccifer Lacca. […] La moderna gommalacca è ottenuta dalla raffinazione di tale resina. Questa lacca veniva importata in Europa in grandissime quantità fin dall’inizio del XIII secolo, e di conseguenza divenne un termine generico per tutti i rossi derivati da coloranti tessili, compresi quelli già in circolazione come il carminio.”
Non conoscevo fino a ieri il vitigno rossara, men che meno il vino da esso derivato. Lo verso nel bicchiere e lo guardo attentamente; il mio sguardo è rapito dal colore: un rosso che non è un rosso e non saprei però come descriverlo, dalla consistenza tenue, pastello, traslucida. È proprio il colore che più si avvicina al carminio, un’antica lacca usata in larga misura nella miniatura medievale, come sappiamo anche grazie agli scritti di Cennino Cennini.
Questa rossara, vinificata in purezza dalla famiglia Zeni, vignaioli e distillatori, di San Michele all’Adige (e non saprei quali altre aziende producano un vino con questa uva), è dotato di una leggerezza cromatica che si riscontra anche alla beva: semplice, leggermente fruttato, dai sentori di ribes, e lievemente pepato. Un vino che si beve e al contempo glorifica questo verbo, troppo bistrattato ai danni del suo fratello minore più chic, degustare: bere, e bere in gran quantità.

La rossara fa parte del progetto “Vini dell’Angelo” di Proposta Vini, azienda trentina, la più importante forse per valorizzazione e distribuzione di vini da uve autoctone. “In Trentino, fino a pochi decenni fa, era intensamente coltivata nella Piana Rotaliana. A tutt’oggi esistono alcuni piccoli appezzamenti sopravvissuti alla sostituzione varietale”, leggo scritto su un piacevole libretto distribuito dall’azienda, dedicato al progetto. Obiettivo, in poche parole, è (ri)dare dignità a varietà autoctone coltivate storicamente in un dato territorio. Varietà che ovviamente non daranno mai grandi qualità, ma che riescono comunque a esprimere identità, e soprattutto sono di piacevolissima beva. Proprio come questa rossara di Zeni.
DP