AL MERANO WINEFESTIVAL PER BERE I GRANDISSIMI-NOTI, E SCOPRIRE I GRANDISSIMI-NASCOSTI. Plauso ai vini dei Garagisti di Sorgono

A Merano nonostante il cambiamento climatico, a inizio novembre, le cose non cambiano: atmosfera nordica e briosa, cime innevate, aria frizzante. Lo stesso vale per il suo festival ormai internazionalmente riconosciuto, il Merano WineFestival, giunto questo 2022 all’edizione numero 31. Non cambiano nemmeno le giacche eleganti di Helmuth Köcher, ‘The WineHunter’, il fondatore storico dell’evento; così come la sua fiera espressione, esaltata dalle ormai iconiche sopracciglia.

E non cambia l’altissima qualità dei vini presenti, e l’importanza dei produttori invitati (circa 700). Difficile districarsi in questo labirinto di etichette note e stranote, di vini grandissimi e ormai leggendari. Quest’anno avevo pure deciso un percorso ragionato, una serie prefissata di assaggi sulla base di una costruzione logica, con un fine didattico-lavorativo-critico. E anche in questo, per me, il Merano WineFestival non è affatto cambiato.

Difficile non fermarsi, a esempio, da Quintodecimo, azienda d’eccellenza campana, guidata da Luigi Moio (intervenuto durante uno dei numerosissimi eventi paralleli al festival), e abbandonare dopo soli 5 assaggi la  tabella di marcia. Come riuscire a non sostare a bere spumanti metodo classico strepitosi, oltre che costosissimi anche introvabili, come la Madame Martis 2009 edizione limitata di Maso Martis, la riserva Vittorio Moretti 2013 di Bellavista, la riserva Palazzo Lana 2010 di Berlucchi, il Brut Vintage di Cà del Bosco, il Cabochon di Monterossa, il Valentino di Rocche dei Manzoni, l’Excellor rosè di Arunda? Bollicine grandiose derivate da tantissimi anni di affinamento sui lieviti.

E i toscani? Tua Rita e il Giusto di Notri, Montevertine e Le Pergole Torte, Ornellaia, Castellare e I Sodi di San Nicolò, Tenuta Luce, e di Fontodi, ovviamente, il Flaccianello della Pieve (2019). Piemontesi? Pelissero, Conterno Fantino, Pio Cesare, Borgogno, Einaudi, Scarpa, e bastino questi, con i loro cru più identificativi quali Bussia, Cannubi, Ginestra Vigna del Gris, Castelletto Vigna Pressenda.

Ovviamente non mi sono fatto mancare gli Alto Atesini, come sempre in strepitosa forma per l’evento (del resto, giocano in casa). Di Tramin non mi sono perso il Nussbaumer 2012, un gewürztraminer invecchiato (ha vinto la sfida e le ritrosie generali: ma io traminer lungamente invecchiati ne avevo già bevuti, quindi non è stata una sorpresa, bensì una conferma), e nemmeno il Troy 2019 (chardonnay riserva); di San Michele Appiano, selezione Sanct Valentin, sono sempre eccellenti il Sauvignon e lo Chardonnay (2021), ma ho goduto incredibilmente grazie al Pinot Nero riserva Collection 2018. Della selezione Lafoa di Colterenzio ho assaggiato il Pinot Nero 2019, e un caldissimo, pepatissimo, fumeggiante Cabernet sauvignon 2011.

Di Girlan ho tralasciato bianchi e rossi, per favorire un vino che amo e che non definirei con nessun colore: la loro Schiava da vecchie vigne Gschleier 2020 è una carezza imponente e insieme un pugno morbidissimo; vino fantastico per ogni ora e ogni occasione. Un altro Pinot Nero che mi ha fatto godere proprio è il Ludwig 2019 di Elena Walch, succosissimo. Della celebre cantina di Terlano non ho voluto esagerare oltre, e mi sono fatto bastare (per così dire) il suo celeberrimo Sauvignon Quarz.

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Ma il Merano WineFestival non è solo la fiera dei vini arcinoti, anzi, il bello è proprio quello di scoprire vini eccellenti dal nome poco altisonante, vini dotati finezza e godibilità. Qualche esempio. Accanto alle curiosità dei vini georgiani (buonissimi e particolarissimi), dei vini del Mediterraneo (Albania, Cipro, per esempio), si può bere un Grignolino del Monferrato di Altromondo del 2020, le tintilie molisane di Claudio Cipressi, le bollicine della Val di Cembra di Opera, il Vin de la Neu di Nicola Biasi, prodotto con uve coltivate a 1000 metri in Val di Non, il tochì ossia il tocai-friulano San Martino della Battaglia di Patrizia Cadore, il Fumé sauvignon di Englar.

Eppoi capolavori classici, da me particolarmente amati, come la Ribolla di Primosic, il Buttafuoco 2017 del consorzio Club del Buttafuoco Storico, la Vernaccia di Oristano Flor e soprattutto la Vernaccia Riserva 1997 di Contini, il Molmenti di Costaripa e il Lettera C di Pasini, Rosa Valtenesi affinati per lunghissimo tempo; e chissà quanti altri dovrei citarne.

La Sardegna mi attrae sempre comunque e ovunque, e quest’anno mi ha abbondantemente ripagato. Stavo assaggiando le nuove annate del Korem (bovale) e del Turriga di Argiolas, quando l’occhio mi scappa su una serie di etichette icastiche, incisive, penetranti. In esse sono rappresentati dei volti, con un tratto piuttosto attento, ognuna di un colore diverso – una giallo-ocra, una rosso-sangue, una viola-vinaccia, una verde-salvia –, colori durissimi, pugnaci che sembrano rubati alla tavolozza di Chagall.

 

Rappresentano, queste etichette, il volto dei tre vignaioli dietro la piccola azienda sarda I Garagisti di Sorgono, una piccola cantina appunto proveniente dal paese nel cuore della Sardegna, tra Barbagia e Campidano, in provincia di Nuoro. E i colori così forti, uniti allo sguardo dei tre vignaioli, sembrano quasi voler essere una metafora: ruggire facendosi strada, col proprio vino e col proprio territorio, nel panorama combattivo della viticoltura internazionale. E qui a Merano è una bella arena.

Mandrolisai è una regione storica della Sardegna, fatta di “terra povera” e suolo granitico; in questa terra, a un’altitudine di circa 550 m slm, Pietro Uras, Simone Murru e Renzo Manca coltivano vigne dell’età compresa tra i 60 e gli 80 anni: Cannonau, Bovale e Monica. Sono cinque i vini che assaggio, e tutti mi colpiscono per qualcosa in particolare; ma in tutti ritrovo eguale sottigliezza, persistenza, profondità, equilibrio e, udite udite, beva. Un rosso sardo di grandissima beva? Provare per credere.

DP