L’ARTE DEL PARLAR DEL VINO. Nicola Bonera nel suo libro “Lockwine” compendia anni di lezioni all’AIS, proseguendo la tradizione dei Veronelli

Leggo il libro da poco uscito di Nicola Bonera, Lockdown. Vini, piatti e pensieri di un sommelier confinato in casa (edito dall’Associazione Italiana Sommelier Lombardia), e ho la sensazione di sentire la sua voce, nitida e tonante, chiara, netta e dal timbro marcato, che ben ricordo dalle sue lezioni all’AIS e dalle degustazioni da lui condotte.

Chi lo ha scritto è un sommelier di professione, e dunque non avevo dubbi; ma scopro anche che l’autore è un appassionato, anzi di più, un esperto appassionato di gastronomia, se non proprio un cuoco. I modi con cui si rivolge al lettore sono gli stessi, galanti e mai superbi, con cui si rivolge a noi che lo abbiamo ascoltato e ancora lo ascoltiamo alle sue lezioni e degustazioni. “Caro lettore”, scrive nell’introduzione, “grazie per aver scelto questo libro”. Le sole primissime battute mi confermano la professionalità che già conosco, i tanti anni passati a ‘servire’ i clienti, la formazione all’istituto alberghiero.  Insomma, in questo libro Bonera ci scrive nello stesso modo con cui si rivolgerebbe al commensale in sala di un qualsiasi ristorante di medio o alto livello.

Nicola Bonera è oggi una tra le più figure più importanti e influenti dell’AIS, è il relatore degli applausi scroscianti finali, miglior sommelier d’Italia nel 2010; si dice un “inquieto che non smette mai di studiare, un curioso, un tenace”. Chiaro: senza queste facoltà nel mondo del vino, in perenne cambiamento, non si va molto lontano. È una persona dai modi tutto sommato umili, ho detto, ma non un moscio: resta comunque, come si può immaginare, un agonista, una persona competitiva che pur coprendo diversi ruoli non vuole “abbandonare ‘il mio primo amore’ per i concorsi”. Una persona sicura di sé e delle sue capacità, che ha saputo sfruttare le sue doti costruendosi, sudando, una carriera. E che si rilassa in cucina: “cucinare mi rilassa e mi aiuta a stimolare la mente, migliorare la concentrazione e, certamente, a dimenticare i problemi del quotidiano”. Ma non è un ricettario, o meglio non solo.

Lockdown è, tra le tante cose, ma soprattutto, un libro edonistico; dire, più semplicemente, che  è un libro di ricette e di vini consigliati sarebbe ingiusto, e troppo riduttivo.

Il linguaggio del testo è fluido. L’autore, come nelle spiegazioni orali, dosa e manipola le locuzioni, trova l’aggettivo esatto, azzecca il modo di inserirlo. Il taglio delle volte è secco, altre è più poetico, talvolta rasenta il lirico (e forse un pizzico il melenso: “nella scelta dei vini ho usato il cuore, oltre che i sensi”). Così il vino, che di per sé già vita ne ha a sufficienza, viene accompagnato (e – diciamolo, siamo tra critici – accresciuto).

Forbito quel che basta, asciutto di norma e eloquente sempre, Bonera è un maestro di sprezzatura. Lo sapevo perché ho seguito le sue lezioni; lo so ora che ho letto il suo libro.

E leggendo questo fruibilissimo libro di Bonera  recupero inconsciamente alcune delle sue uscite, che nel frattempo nella mia mente si erano fatti apoftegmi. Come: “il müller thurgau è il caso in cui il riesling ha fatto l’amore controvoglia”. Geniale commento detto (scherzosamente, ovvio) durante la serata dedicata ai Piwi (17 giugno 2019); parlando del Krug Vintage 2004 (serata del 2 luglio 2021) chiede, domanda retorica, “qual è il problema della 2004?”, dopo una breve pausa fintamente dubbiosa: “che finisce subito!”. Quindi divertente, ma anche evocativo. Capita con Bonera che il vino si materializzi, diventando libro (“lo trovo più leggibile”, riferito a un rosso di grande struttura); e, abituati alla sua affabulazione, certi commenti possono emergere per contrasto. In una serata dedicata al riesling tedesco del Medio Reno (esclusa la Mosella quindi), dopo aver preparato la platea a chissà quale monologo sull’“amato” riesling di P.J. Kühn, il responso è stato un lapidario: “è buono”, accompagnato da una calcolata pausa.

In aula illustra i vini e il mondo che ci sta attorno, ma insieme si dichiara, si racconta nella sue esperienze enoiche, aneddoti leggeri eppure coinvolgenti di vita da degustatore. Talvolta è affabile quando accompagna la degustazione, a volte più tagliante, ma ugualmente efficace.

NIcola Bonera, dal profilo Twitter
NIcola Bonera, dal profilo Twitter

Bonera è impeccabile, e non parlo solo del nodo alla cravatta o dei capelli o dei pantaloni sempre attentamente fino in fondo (guai che scappi un’idea di risvoltino); è preciso e pedantemente dettagliato nello sferzare dati, numeri, statistiche, cru (anche se non so se tenga testa all’altro grande dell’AIS – Invernizzi – a sciorinare territori vitigni e nomi impossibili di luoghi enologicamente misconosciuti). Tante nozioni, che forse qualche volte mi è capitato pure di imparare (per sfinimento, certo), di ettari, rese, ceppi per ettaro… Alla fin fine però credo che Bonera piaccia a tutti anche perché parla dei vini come parlare di donne (e quale combinazione migliore di donne e vino). Chiacchierando di bottiglie bevute ne evoca i ricordi, le memorie lontane, che a volte possono essere divertenti o addirittura bislacche se non assurde.

Certo Bonera viene dai Pellegrino Artusi; ma, soprattutto, prosegue con dignità la tradizione dei Veronelli, innovando il linguaggio e applicandosi perfettamente al tempo in cui vive. Per questo il libro è un libro godibile e per goderecci. La grafica di impaginazione è quella del web, i testi sono sintetici ma esaustivi, ogni ricetta e ogni vino sono affiancati da immagini ‘instagrammabili’ (e mi scuso per il termine) dei piatti, di cui le pietanza sono leziosamente impiattate (Marchesi docet). Pur essendo molto tecniche le ricette le ho letto benissimo, quando solitamente è la prima cosa che snobbo (io mangio tanto e bene, ma a cucinare non mi applico per niente).  Ho letto e riletto invece la descrizione dei vini, sia quelli più rinomati sia quelli più elusivi: in quelle poche battute c’è dentro tutto.

In Lockwine di Bonera ritrovo la stessa formula utilizzata da Luigi Veronelli in un libricino delizioso e penso ormai raro, Bere giusto. Ognuno può diventare un perfetto sommelier (Rizzoli, 1971), che trovai qualche anno fa a Bologna, in uno di quei mercatini sfigati e pittoreschi (ma ricolmi di meraviglie nascoste). Dopo una lunga presentazione dalla prosa sapida e immediata – una chiacchierata sul mondo del vino in forma scritta praticamente – Veronelli si lancia in un elenco infinito di ricette, ognuna delle quali accompagnata da un vino consigliato per l’abbinamento. Dai più sofisticati: “Codone Brillat-Savarin . Vino consigliato: rosso, maturo, di pieno corpo, asciutto”, spiegando: “piatto ‘francese’ al mille […] ci vorrei un grosso vino di Borgogna, un Romanée-Conti tanto per dirne uno. Non ancora disposto a rovinarmi (del tutto) ripiegherei – ottima ritirata tuttavia – sul Granaccia di Vado, di 4-5 anni, servito a 20°C”. Ai piatti più umili: “Tonno con piselli. Vino consigliato: bianco, secco, giovane, di buon corpo. Preferire il Trebbiano di Montorio al Vomano, di 1 anno, servito a 10°C”.

E snob non lo è neppure Bonera nel suo libro. Prima descrive una “farinata di ceci con insalata di cavolo e cappuccio” (pp. 26-27), poi con la stessa appassionata enfasi illustra la preparazione dei “paccheri farciti con ragù di pesce” (pp. 66-67). È minuzioso e completo nel descrivere vini meno citati, come il riesling di Monte Cicogna (p. 49) o l’asprinio Santa Patena de I Borboni (p. 53), quanto i baluardi dell’enologia italiana, come il Ferrari Trento Doc (p. 41) o il Bukkuram di Marco De Bartoli (p. 113).

La suddivisione del volumetto e l’impaginazione sono abbastanza istintive; l’insieme mi piace, ma ancor più i dettagli. Mi spiego. Per i cibi, almeno, i titoli non sono mai solo titoli, perché questi indicano il piatto ma grazie al commento che subito segue si fanno poesia, evocando ricordi lontani, e seducendo non poco. Faccio subito un esempio: “Gnocchi alla romana. Dentro ognuno di noi si nasconde un bambino”; seguito dal pregevole commento: “un piatto a cui non so rinunciare, che ha accompagnato la mia infanzia e mi fa tornare il sorriso a prescindere dai problemi della giornata” (p.42).

O ancora, cito da qualche pagina indietro (a caso): “Torta salata al broccolo. Verso le notti più lunghe”; a cui segue: “una base di pasta che accoglie la farcitura al broccolo, un ortaggio che ci accompagna dal tardo autunno per tutto l’inverno, quando le giornate s’accorciano e il crepuscolo invita al raccoglimento” (p. 34).

Ecco, il broccolo come pretesto per un pensiero nostalgico e, se vogliamo, ‘crepuscolare’, mi mancava.

Ma dal libro ricavo anche curiosità pazzesche, come quella che vede il cartello pubblicitario della SVIC (Società Vinicola Italiana di Casteggio, paese oggi di nemmeno settemila anime in provincia di Pavia) collocato “in maniera ben visibile” nei pressi della Statua della Libertà di New York. Da non crederci, nonostante Ballabio sia una azienda che apprezzo e trovi i suoi Farfalla ottimi (p. 32).

Lockdown è un libro edonistico ma anche fortemente estetico. Il ricettario di Bonera è fatto di ingredienti e loro preparazione e, cosa non scontata, dalle indicazioni per la “finitura del piatto”. In questi paragrafi dà spazio alla sua natura di cuoco-artista, ma anche di preciso e raffinato buongustaio, con consigli direi proprio sensuosi.

Il Bonera sommelier però, e qui l’acme del libro, lo rilevo dai paragrafini titolati “Le pillole del sommelier”. Qui, come da nessun altra parte del testo, ritrovo il Nicola Bonera delle lezioni, il relatore, il degustatore, l’istruttore. Consigli professionali (e, nemmeno a dirlo, impeccabili) su: temperature di servizio (valutarle bene in relazione a ciò che si vuol far emergere dal vino!), conservazione delle bottiglie (esempio: mai tenerle troppo nel frigo!), sequenza dei vini da servire, sboccature diverse dei metodo classico, autoctoni vs internazionali (sfatandone, finalmente, il falso mito), il prezzo dei vini… e tantissime altre chicche, da leggere (e ovviamente imparare a memoria per chi fosse del mestiere come il sottoscritto).

Applausi (scroscianti).

Damiano Perini
AIS Brescia