Approfitto della mostra al Mart di Rovereto per approfondire la figura artistica di uno dei più grandi geni italiani tra Otto e Novecento, Alceo Dossena. Ricchissima, accurata, grandemente ricercata e mirabilmente allestita, Il falso nell’arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento (a cura di Dario Del Bufalo e Marco Horak) è una mostra che apre occhi e mente, e dirò di più, mette in paranoia. In poche parole: guardiamo a oggi, ventunesimo secolo, opere d’arte del Quattro e Cinquecento di un artista di un secolo appena precedente al nostro, e dunque contemporaneo. Tra le sale di questa esposizione il tempo sfugge, pare, e quasi perde di significato.
È una mostra vertiginosa, conturbante, irresistibile; ma al contempo deliziosa e decisamente interessante. È, credo, una delle mostre più intelligenti che abbia visitato negli ultimi anni; è quasi paradossale, è un racconto di Borges, un film di Nolan. Da un lato, questa rassegna, prosegue l’indagine del Mart a proposito della relazione tra antico e contemporaneo, dall’altro invece – e soprattutto – contribuisce in modo sostanzioso al dibattito sul senso dell’arte e la sua identità. Cos’è l’arte? E chi l’artista? E l’arte quindi, come ripete sovente Vittorio Sgarbi, ideatore della mostra (molte le opere provenienti dalla sua collezione), “è tutta, sempre contemporanea”?
Innanzitutto capisco concretamente la differenza tra falso, copia e imitazione. Di copia si parla esclusivamente in riferimento a un artefatto identico a un’opera già esistente; questa ha accezione spesso negativa, anche perché la copia per definizione non è dichiarata, volendo identificarsi come l’originale. L’imitazione è un concetto un po’ più semplice, in quanto è una copia dichiarata, che serve che so, a abbellire il salotto di qualcuno, a ostentare abilità tecnica, come esercizio di stile. Il falso – e questo il nostro interesse – è un’opera d’arte creata ex-novo da un artista (straordinariamente bravo) che imita lo stile di un’epoca o di un periodo storico determinato. “Il vero falsario”, scrive Sgarbi, “ha una personalità, non è un copista o un imitatore, e si può prefiggere di imitare uno stile, non un’opera.” È il caso di Alceo Dossena.
Alceo Dossena (1879-1937) è definito dai curatori come una figura affascinante, singolare, enigmatica, complessa. E lo è. La mostra, la più grande e mai fatta prima dedicata al falsario lombardo (Dossena nasce a Cremona), permette la visione ravvicinata (dico ravvicinata perché è impossibile resistere a scrutare con voracità e da molto vicino quelle opere) della ricchissima e variegata produzione di sculture di età (pseudo) antica e rinascimentale. La curiosa (e dadaista: sì, proprio dadaista) storia di Dossena comincia prestissimo: viene espulso giovanissimo dalla Scuola d’arte della sua città per uno scherzo ottimamente riuscito, ossia aver nascosto sottoterra una Venere da lui scolpita e averne rivelato la paternità solamente dopo che il suo professore l’aveva pubblicamente dichiarata antica. Un prodigio di tecnica e creatività che si scopre agli albori.
La carriera di Dossena cresce insieme e in virtù del mercato di arte antiquaria del suo tempo. La richiesta è tale da favorire quasi naturalmente (l’occasione fa l’uomo ladro) l’inserimento di falsi realizzati da abilissimi artigiani e falsari e artisti, “eredi”, scrivono a ragione i curatori, “della tradizione italiana delle botteghe storiche”. Così, in mostra, Alceo Dossena è introdotto e accompagnato da opere di altri suoi illustri colleghi: Giovanni Bastianini (1830-1868) falsario di arte rinascimentale toscana; Icilio Federico Joni (1866-1946), specializzato nelle tavole dal fondo d’oro che imitano molto bene lo stile dei Primitivi senesi; e Gildo Pedrazzoni (1902-1974), allievo di Dossena.
Ma il maestro cremonese – in grado di imitare lo stile dagli etruschi ai fratelli Pisano, dai Simone Martini, Donatello, ai contemporanei – ha una marcia in più, un valore, un pregio che negli altri non si riscontra, o raramente; tant’è che la qualità delle opere ha ingannato per tanti anni (sino alla sua ammissione) studiosi e direttori di museo di tutto il mondo. “Avevano la forza dell’originalità in quanto modelli originali realizzati secondo lo stile e le tecniche esecutive del passato”, ammettono i curatori. E capisco allora che non solo lo stile, ma anche la tecnica è imitata. Dossena ha saputo “entrare nel corpo e nello spirito delle forme”, unendo l’idea e le soluzioni della scultura italiana alla sua sensibilità. E fondendo quindi in una persona abilità manuale, conoscenza storico-artistica e storico-tecnica e creatività, è l’artista per eccellenza. Sono sbalordito. Mi avvicino allora ancora di più alle opere di Dossena, le costeggio, rasento con gli occhi quei (finti eppure verissimi) monconi delle statue, quasi le sfioro.
In modo dettagliato, le qualità tecniche di Alceo Dossena sono le seguenti. a) Abilità nel disegno, velocità di esecuzione, capacità di lavorare indistintamente ogni materiale scultoreo (creta, legno, gesso, marmo); b) capacità di convogliare, miscelandoli, i diversi dettagli presi da artisti differenti di una stessa epoca; c) forse la più sconcertante, ossia quella di saper perfettamente trattare la materia nelle finiture di modo da conferire alle opere la “patina del tempo”. Riporto quanto scritto dai curatori.
“Nei suoi laboratori aveva ricavato delle vasche, dove immergeva in soluzioni a base di varie sostanze coloranti le sculture in marmo non ancora rifinite e lucidate. Per favorire la penetrazione in profondità dello sporco, Dossena scaldava le pietre prima di metterle a bagno. La successiva levigatura e lucidatura eliminava la maggior parte dell’imbratto, facendo emergere lo strato sottostante, caratterizzato da una colorazione che ricordava gli effetti di secoli di sporco e fumo di candele. Rotture e mancanze tipiche della scultura antica, inoltre, venivano create ad arte sfregiando parti del volto o ricomponendo parti precedentemente spezzate.”

Il successo di Dossena dura sino al 1928, ossia, per paradosso (un altro), quando decide di venire allo scoperto. In quell’anno, infatti, decide di costituirsi, per così dire, e ammettere la propria natura di falsario invitando un importante storico dell’arte e consulente nel suo studio. Scoppia lo scandalo, Alceo Dossena è riconosciuto internazionalmente come uno dei più grandi virtuosi della scultura; ma è un pallido, freddo fuoco di paglia. Muore nel 1937, povero e dimenticato.
Damiano Perini