NELLO STUDIO DI ANGELO BORDIGA, PITTORE DI SOLITUDINI, DI SILENZI E DI DONNE

Arrivo da Angelo Bordiga in una bella mattina, e sopra Brescia splende un magnifico sole in mezzo a un cielo azzurrissimo. Il pittore mi attende, vestito direi da prete (giaccone nero, sciarpa di lana a penzoloni e coppola scura) appena fuori dal suo studio, che ha tutte le sembianze di essere un vecchio capannone, il cui interno è ricolmo di quadri. Quadri ovunque e di qualsiasi dimensione sono appoggiati a terra o al muro; di qua scorgo mucchi di disegni, di là abbozzi su carta e cartoncino. Eppoi tele, libri, secchielli di pittura, pennelli. Lo studio è pittoresco, simpatico, vissuto; e ammetto che ci si sta a proprio agio. Certo, se non fosse per un freddo tremendo che all’inizio non senti, ma poi ti trapassa le ossa; un freddo che non si sa di dove venga (ci saranno almeno 5 gradi sotto la temperatura esterna, che essendo dicembre non è delle più calde).

Ma i quadri, inizialmente mi catturano totalmente l’attenzione. E guardo quelle figure, quelle sagome solitarie che sono il suo soggetto  praticamente di tutta la sua produzione. Mi interrogo senza parlare, ma deve essersi accorto, perché mi sento rispondere da dietro le spalle: “sì, sto cercando di arrivare alla sintesi”.

Bordiga, di origini bagosse, ha dedicato tutta la vita alla pittura; una vita di rinuncia: ai figli, alla famiglia (anche se convive con una compagna), alla fama (l’arte di Bordiga, essendo pittura pura, è lontano dal mainstream artistico contemporaneo dei Jeff Koons, dei Cattelan, dei Damien Hirst), nell’unico obiettivo di seguire la sua strada, la sua passione, il suo amore. “Io mi sento ricco per quel che ho: seguire la mia passione, ossia la pittura è la mia ricchezza più grande”, confessa con tono mesta felicità. Angelo Bordiga ha studiato a Brera, e lo avevo intuito subito guardando certi ritratti su carta: in questi abbozzi (dice infatti che non sono finiti) c’è la storia dell’arte nelle pose, c’è l’abilità tecnica scaturita da anni e anni di esercitazione. Eppure, eppure ogni signola figura è chiaramente riconoscibile come linguaggio di Bordiga. Si può dire la storia dell’arte è assimilata e espressa secondo una particolare e elaborata interpretazione.

Dice di avere acceso la stufa, giustificando il clima glaciale. Ma Lo studio è circondato da finestre sottilissimi e opposte all’arco che percorre giornalmente il sole, e da dove entra ogni singolo rumore del quartiere, oltre che il freddo. Il tetto è a onduline. In poche parole l’edificio non è isolato: impossibile scaldarlo. Lo studio era un fienile, della cascina che è difronte. Devo stare attento a non inciamparmi. Tutto è in mezzo nello studio, ogni tanto trovo cavi che passano da una parte all’altra.

Il discorso sui suoi quadri è alternato da discorsi più generici sull’arte e sui pittori. Dice che ama Velázquez, il quale“ fondamentalmente era un ritrattista”. Il suo riferimento però è la pittura veneta e soprattutto Tiziano. Poi interessano molto Bacon e Giacometti; di questi due, ma soprattutto dell’artista irlandese molte caratteristiche sono sapientemente rielaborate da Bordiga nei sui dipinti. Di lui il pittore bresciano ammette con confidenza che “la tradizione veneta in lui è riproposta in chiave contemporanea”. E lo fa notare. Angelo Bordiga abita nei pressi della Collegiata dei Santi Nazaro e Celso, ossia vicino al polittico Averoldi di Tiziano.  Discutiamo allora lungamente di Tiziano di cui sembra proprio innamorato, lo adora come il più grande dei maestri, soprattutto il Tiziano dell’ultimo periodo (quello materico, compendiario, devastante).

Il discorso si trasferisce all’arte a noi più vicina. Lucien Freud? Gli iperrealisti? Vade retro! “Un pittore”, sostiene Bordiga accigliato, “non copia una realtà , ma crea una realtà” . Poi di Paolo Masi, artisti che recentemente sta ottenendo una grande fortuna sul mercato: “con tutte le possibilità di linguaggio pittorico mi sembra riduttivo utilizzare solamente due righine”.

Angelo Bordiga è un pittore puro. Al centro c’è sempre la figura: “sono un pittore figurativo. Da sempre ho una spiccata attrazione verso la figura, e cerco di farla coincidere con il racconto pittorico”. Che però non accademismo, tutt’altro.

Da alcuni quadri, sapidissimi e sensuali, emergono da uno sfondo monocromo e immobili, altrettanto immobili sagome femminili, da cui traspaiono movenze ma non trapela sentimento alcuno. Queste graziose signorine, o meglio, la loro ombra, la loro idea, il loro simulacro, il loro profilo (me questa è una grande capacità di Bordiga: evocare) sono per lo più mollemente adagiate e sdraiate, alcune in piedi; ma mai in moto. Esse sono silenti, levitano nel colore come sospese; ma ammiccano sempre e comunque.

Molti sono anche le opere su carta, e non per forza minori. Il supporto cartaceo a sua detta è meno vincolante, “sono meno condizionato, mi sento più libero e oso di più” perché, essenzialmente, la carta costa poco, occupa poco spazio, e dunque maggiori possibilità di prova.  “sotto certi aspetti la carta…”

Nello studio, relegato a un angolino, c’è un pianoforte. Angelo Bordiga studia anche musica e ogni tanto “strimpella” qualcosa perché, dice, le due realtà artistiche sono collegate tra loro. L’una da una mano all’altra. Soprattutto la musica jazz, dove la libertà dell’improvvisazione stimola l’espressività pittorica. Poi si accende una sigaretta, e prosegue a parlare. “I brani per pianoforte sono di una bellezza unica”.

Tra la sua innumerevole produzione scorgo molta ritrattistica, pose barocche rifatte alla sua maniera. Il procedimento di lavoro è particolare, frutta di una attenta e personalissima “ricetta pittorica”; questa è il frutto di anni di ricerca. La ricetta prevede 5 gradi di “materia”: a) liquida, come pittura molto diluita, b) materia coprente grassa spessa, come il colore puro, c) sgranata, d) piatta come la materia naturale del supporto (carta) o monocromo e coprente, e e) la colatura.

Nei suoi quadri è presente un continuo scambio di pieni e vuoti, lampanti. Cerca molto l’attrito, il contrasto tra colori, una disarmonia calcolata. Sia la morfologia dello studio, sia la ricerca per sintesi di Bordiga mi ricordano il Frenhofer di Balzac. In particolare l’erotismo unito all’evanescenza delle silhouettetes che si stagliano su quei quadri. Le sue figure femminile, anche nella loro algidità, esprimono sentimento, un sentimento ovattato ma percepibile. Fantasmi muliebri dalla linea sinuosa e dal tratto avvolgente, che dicono tutto. Angelo Bordiga, checché se ne dica, è un pittore di donne.

Damiano Perini

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